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 2015  ottobre 31 Sabato calendario

L’avvilente epilogo della vicenda Marino segna anche il definitivo fallimento delle primarie del Pd. Adesso, dopo averne preso atto, «a un partito serio non resterebbe che assumersi la responsabilità di scegliere la persona giusta senza foglie di fico per mascherare manovre di corridoio»

A Roma la festa della democrazia, perché tale è l’elezione di un sindaco scelto con il libero voto, finisce dunque nel peggiore dei modi. Ovvero, davanti al notaio incaricato di registrare le dimissioni dei consiglieri: l’epilogo meno democratico possibile.
Ignazio Marino esce di scena accompagnato da uno strascico velenoso di scontrini ma senza altra colpa se non quella grave di non avere forse avuto il fisico adatto e i nervi saldi per governare la città più ingovernabile del Paese. Marino esce di scena, in più, con il paradosso che al suo posto arriva il prefetto di Milano, città che al contrario di Roma secondo Raffaele Cantone ha gli anticorpi contro la corruzione. Decisione che pare simbolicamente sovrapporre il successo dell’Expo al rischio di insuccesso del Giubileo.
Questo esito avvilente per la stessa democrazia ha un punto di partenza preciso: le primarie del Pd. Lo strumento che dovrebbe garantire agli elettori il diritto a scegliere è servito invece spesso a coprire ipocritamente operazioni di bieco potere interno.
Anche lo sbarco di Marino a Roma va ascritto a questo meccanismo. «Il primo sindaco di Roma libero dai partiti», come egli stesso si è definito, non è affatto un marziano. Si aggancia al Pd attraverso un politico non esattamente di primo pelo come Massimo D’Alema. Da parlamentare si candida addirittura alla segreteria del partito. Sconfitto, scende in lizza per diventare sindaco della capitale. Alle primarie, assente il favorito Nicola Zingaretti ormai governatore della Regione Lazio, lui sbaraglia tanto David Sassoli quanto Paolo Gentiloni: certo non grazie alle sue radici genovesi ma a una delle volpi più scafate della vecchia politica romana. Goffredo Bettini gli confeziona la vittoria. Il che non scoraggia Marino dall’utilizzo in campagna elettorale di slogan populisti come «Non è politica, è Roma». Il suo sponsor poi lo scaricherà prontamente dopo i primi infortuni, a conferma ulteriore che questa vicenda celebra il fallimento definitivo delle primarie made in Pd. Avendone preso atto, a un partito serio non resterebbe che assumersi la responsabilità di scegliere la persona giusta senza foglie di fico per mascherare manovre di corridoio. Nel rispetto, se non altro, degli elettori.