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 2015  ottobre 30 Venerdì calendario

La Corea del Nord esporta lavoratori-schiavi per incassare valuta straniera aggirando le sanzioni dell’Onu

Rim Il arriva in Kuwait nel cuore della notte e pieno di speranze. È il 1996 e il suo Paese, la Corea del Nord, è preda di una gravissima carestia che durerà quattro anni e che provocherà 3 milioni di morti. Rim nel suo lavoro è bravo: fa il carpentiere ed è uno dei migliori della sua città. Qualcuno gli fa una proposta: andare a lavorare all’estero per 120 dollari al mese, per poter così sfamare la sua famiglia in patria. Rim ringrazia, gli sembra un’ottima occasione vista la situazione a casa. Per convincerlo, forniscono a lui e ai suoi colleghi tre generosi pasti al giorno: pane, latte, uova, carne, alimenti che in Nordcorea, all’epoca come allora, gran parte della gente può solo sognarsi.
Ben presto, però, le illusioni di Rim vengono infrante. «Ho lavorato per cinque mesi e non sono mai stato pagato». Insieme ai colleghi, Rim viene impiegato in durissimi turni all’interno di un cantiere. Il suo letto è in una scuola apparentemente abbandonata ma in realtà sotto stretta sorveglianza: lì, nell’unica serata libera, è costretto a guardare documentari sul caro leader Kim Jong Il. Rim si sente uno schiavo. «Non ho mai saputo di avere un passaporto finché non sono arrivato in Kuwait. Le guardie me lo hanno dato ai controlli per l’immigrazione e poi me lo hanno ritirato. Non ho nemmeno avuto la possibilità di aprirlo». È solo grazie a un momento di distrazione dei responsabili della sicurezza che Rim riesce a scappare e a chiedere asilo all’ambasciata sudcoreana in Kuwait. La storia di Rim è solo uno dei tragici esempi di un fenomeno denunciato con forza ieri dal relatore speciale dell’Onu per i diritti umani in Corea del Nord, Marzuki Darusman.
Secondo un rapporto sono decine di migliaia i nordcoreani mandati dal regime a lavorare all’estero, in condizioni simili ai lavori forzati. L’obiettivo è quello di aggirare le sanzioni dell’Onu e guadagnare valuta straniera per le casse del Paese per un ammontare di circa 1,22,3 miliardi di dollari all’anno. Una pratica iniziata molti anni fa da Kim Jong Il e che prosegue tuttora con il figlio Kim Jong-un. Darusman ha spiegato che nei migliori casi i lavoratori guadagnano in media 120-150 dollari al mese, ma i loro datori di lavoro «pagano somme significativamente più alte» al governo nordcoreano. I lavoratori inoltre non ricevono abbastanza cibo e sono a volte obbligati Secondo diversi studi, sono oltre 50mila i nordcoreani che lavorano in queste condizioni in Paesi stranieri, la maggior parte in Cina e Russia, ma anche in altri Paesi in Asia, Africa, Medio Oriente ed Europa. E i numeri sono in crescita, anche a causa della dura situazione economico-finanziaria di Pyongyang.
Gran parte del denaro così incassato viene peraltro utilizzato per il programma nucleare voluto dal regime, oltre che per essere distribuito tra i membri dell’establishment e, addirittura, per costruire parchi acquatici e stazioni sciistiche utilizzati dal regime per i suoi uomini. Il tutto con la compiacenza dei Paesi nei quali i lavoratori vengono impiegati. Le aziende coinvolte «diventano complici di un inaccettabile sistema di lavori forzati», ha denunciato Darusman, secondo cui le autorità locali «hanno l’obbligo di indagare e di porre fine a una tale partnership».