Il Messaggero, 30 ottobre 2015
Sterilizzazioni forzate, aborti, pozzi pieni di neonate ammazzate: è stata questa, per decenni, la Cina del figlio unico. L’unica alternativa era pagare una multa astronomica, o corrompere qualche membro locale del partito
È stato un articolo dello scrittore dissidente Ma Jian, pubblicato nel maggio 2013 dal Guardian a rivelare le violenze, i dolori, i soprusi, inflitti a un’intera generazione con una legge che in occidente ha spesso avuto un sapore aneddotico: la legge del figlio unico. Per primo Ma Jan raccontò la brutalità delle sterilizzazioni forzate, il mercato di corruzione ed elemosina per scampare alle punizioni o alle multe impossibili da pagare, i fiumiciattoli di campagna dove bastava aspettare qualche minuto per intravedere un corpicino, quasi sempre femmina, frutto di uno dei 336 milioni di aborti che secondo il ministero della sanità cinese sono stati effettuati per evitare di contravvenire la legge, o magari per evitare che l’unico figlio possibile fosse femmina, una sciagura anche secondo Confucio. È Ma Jan a raccontare per primo quello che accadde nella provincia del Guangxi nel 2007, quando le autorità locali praticarono la sterilizzazione forzata su 17mila donne.
I PROVVEDIMENTI
La multa prevista in caso di una seconda gravidanza era di 10mila yuan, circa 1500 euro, una somma enorme, impensabile, per una famiglia media cinese. Per le coppie che avevano rifiutato l’aborto, l’unica soluzione era convincere qualche membro locale del partito a chiudere un occhio, alimentando un mercato parallelo di corruzione e mazzette. Nel 1983, l’inviata del Nouvel Obs raccontò di pozzi «pieni di corpicini di bambine, chiusi in sacchi di tela e attaccati a una pietra». E oggi il risultato non è solo una ferita aperta, ma un’aberrazione demografica: in Cina mancano le donne. Secondo un rapporto della direzione delle politiche estere del Parlamento europeo, nel 2011 c’erano in Cina 118 uomini per 100 donne, contro una media mondiale di 105 contro 100. Altra conseguenza: il celibato è una delle questioni più delicate e angoscianti nella Cina contemporanea. E infine c’è il silenzioso, indicibile dramma delle famiglie «shidu». È il nome delle coppie che perdono quell’unico figlio concesso dalla legge. Lo perdono quando è già grande, quando magari sono troppo in là con l’età per farne un altro. In Cina le famiglie «shidu» sono circa un milione. Secondo un assistente sociale citato dal Telegraph, il 70% di queste coppie non sopravvive alla perdita dell’unico figlio e si separa, accompagnando il lutto con gravi problemi economici. Lo stato cinese ha addirittura creato una «pensione» per le famiglie «shidu» in cui la donna ha più di 49 anni: 49 euro mensili nelle città e 25 nelle campagne.