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 2015  ottobre 30 Venerdì calendario

Che cosa c’entrano Bankitalia e il governatore Visco con i guai della Popolare Spoleto

Ha presente Il Falstaff? Sarà che nella cittadina umbra di Spoleto, patria del Festival dei due mondi, teatro e musica lirica sono di casa. Sta di fatto che il nome del cavaliere grosso e fanfarone, creato da Shakespeare e reinventato da Verdi per la sua ultima opera, ricorre spesso nei racconti di chi vuol descrivere l’uomo che ha messo nei guai il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Il Falstaff dell’Umbria, al secolo Giovannino Antonini, 63 anni, è stato per un periodo infinito il padre-padrone della Popolare di Spoleto, una piccola ma ben radicata banca la cui fine ingloriosa – commissariata e poi venduta – è costata al governatore l’iscrizione nel registro degli indagati in seguito alle denunce formulate dai vecchi azionisti, che nella disavventura hanno perso parecchi quattrini. Una notizia che ha spinto Antonini a dichiarare che «i 21 mila soci devono tornare proprietari della banca», mentre la procura di Spoleto si è affrettata a precisare che qualsiasi ipotesi di reato è «da verificare e da valutare». E Visco ha incassato il sostegno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha definito «preziosa e fondamentale» l’opera di vigilanza condotta dalla Banca d’Italia sul sistema creditizio.
Eppure, scavando fra gli atti giunti all’attenzione della magistratura, molti dei quali inediti, emerge una storia con numerosi passaggi che meritano di essere chiariti. Forse gli uomini della Banca d’Italia hanno effettivamente pilotato la Popolare nelle mani più consone, quelle del Banco Desio, che ne ha preso il controllo nell’aprile 2014 battendo gli altri concorrenti rimasti in gara, un misterioso fondo di Hong Kong e una cordata di imprenditori locali. E forse tutto è avvenuto secondo la legge. Allo stesso tempo, però, le scelte effettuate dalla Banca d’Italia nella crisi della Spoleto hanno seminato numerose perplessità, proprio in un momento in cui le banche locali sono al centro di una profonda rivoluzione, con numerosi istituti oggetto di indagini della magistratura, dalla Popolare Vicenza a Veneto Banca, e altri che dovranno essere salvati con i soldi del sistema creditizio, grazie all’intervento del Fondo interbancario, come Cariferrara, Popolare Etruria, Banca Marche. «Mi sembrerebbe giusto che il parlamento nominasse tre esperti al di sopra delle parti con il compito di effettuare un’indagine conoscitiva sull’adeguatezza del nostro sistema di vigilanza bancaria», ha scritto sul “Sole” l’economista Luigi Zingales, cercando di trarre una lezione dagli scandali di questi mesi.
Per capire come è nato l’ultimo caso, quello della Spoleto, occorre dunque partire da lui, Antonini detto Falstaff. Oggi trattato come il vendicatore dei piccoli soci, l’ex presidente della Popolare nella sua carriera ne ha combinate parecchie. Conosciuto per aver fatto parte del servizio d’ordine che durante i comizi proteggeva il vecchio leader del Movimento Sociale, Giorgio Almirante, si è fatto largo in una regione dove gli eredi del Pci hanno governato a lungo. Si racconta che nel 1998, quando la Spoleto rischiava di essere inglobata dal socio forte di allora, il Credito Italiano di Alessandro Profumo, si sia precipitato nella sede di piazza Cordusio, a Milano, arrivando allo scontro fisico con lo stesso Profumo. Risultato: il Credit molla la preda e nel giro di pochi giorni Antonini sostituisce la banca milanese con il Monte dei Paschi di Siena, il nuovo azionista destinato a portare acqua alla cooperativa di piccoli soci che in teoria dovrebbero comandare sulla banca, se non fosse che a comandare c’è soprattutto lui, Antonini. Diventa presidente della Popolare nel 2001 e fa il bello e il cattivo tempo fino a quando, scoppiata la crisi, la Banca d’Italia cerca di mettergli il sale sulla coda. Non ci riuscirà, per un motivo strettamente legato al consueto modo d’operare della vigilanza.
QUEL GIRO DI ASSEGNI SOSPETTI
Tutto parte il primo febbraio 2010, quando a Spoleto si presenta una squadra di ispettori arrivati da Roma. Dopo quattro mesi di verifiche, ne viene fuori un rapporto che dovrebbe cambiare per sempre il destino della banca. Al centro delle critiche ci sono «anomalie gestionali», «casi di malversazione», «carenze nell’organizzazione e nei controlli interni», la «scarsa trasparenza» e le «condotte improprie» con cui Antonini tratta i suoi conti correnti. Si è scritto a lungo, in città e non solo, del caso Baronci, una ditta di costruzioni nei confronti della quale lui è debitore per una fattura di 180 mila euro, che viene anticipata per intero dalla banca, in barba alle regole che imporrebbero uno sconto. Nel mirino finisce pure un contratto d’appalto da 600 mila euro, anch’essi accreditati dalla banca, la cui controparte è il figlio di Antonini. Alla fine, però, la Baronci non riesce più a onorare i suoi debiti e la banca è costretta a mettere 2,6 milioni a sofferenza, come vengono chiamati i crediti che rischiano di non essere più riscossi. Il documento finale dell’ispezione, con cui la Banca d’Italia il 24 maggio 2011 tira le fila e multa l’intero vertice della banca, riporta però altri spunti interessanti. Il primo è l’utilizzo del conto da parte di Antonini per alimentare quello che in gergo si chiama “giro assegni": vi vengono versati e tratti assegni di «controparti ricorrenti, tra le quali altri esponenti della banca», al fine di creare quella che la Banca d’Italia definisce una «disponibilità surrettizia», pari «mediamente a non meno di 300 mila euro». Le cifre mobilizzate sono impressionanti, 15 milioni nel 2008 e 6,3 milioni nei primi mesi del 2009, ma par di capire del tutto fittizie. A fronte di contestazioni così gravi, tuttavia, la vigilanza impone sì un ricambio dell’intero consiglio, infliggendo però multe che, alla luce degli accadimenti successivi, paiono modeste: Antonini se la cava con appena 16 mila euro, gli altri amministratori con somme variabili tra i tremila e i 12 mila euro.
NEL MIRINO DEL MONTE PASCHI
Perché? Qui bisogna affidarsi alle ipotesi. Quella che circola è che la Banca d’Italia volesse spingere la Spoleto tra le braccia del Monte Paschi, che nel 2010 non era stato ancora travolto dallo scandalo dei derivati. E che per portare avanti il progetto puntasse sull’allora direttore generale della banca umbra, Alfredo Pallini, un suo ex ispettore, sanzionato con una mini-multa da 3 mila euro. Sta di fatto che l’analisi condotta dalla vigilanza sui crediti della Popolare di Spoleto costringe la banca a far emergere alcune perdite, senza però far immaginare le svalutazioni che si abbatteranno sul bilancio dell’istituto negli anni successivi. In questo limbo, caratterizzato da sanzioni in apparenza non devastanti, che ancora non danno l’idea della gravità degli effetti della cattiva gestione sul patrimonio della banca, Antonini sfrutta i suoi appoggi locali per restare in sella. Ci riesce compiendo una doppia mossa del cavallo. Lascia la presidenza della banca, trasferendosi alla guida della cooperativa che ne è l’azionista di maggioranza (si chiama Spoleto Credito e Servizi), da cui spera di continuare a esercitare la sua influenza sui funzionari della Popolare; e, nel frattempo, silura il direttore generale ex Bankitalia, Pallini, chiamando al suo posto un manager con un curriculum inattaccabile, Francesco Tuccari, per 15 anni responsabile di importanti uffici della Consob, tutti con compiti di vigilanza, poi per un decennio condirettore generale della Popolare Commercio & Industria, un piccolo colosso del credito cooperativo lombardo, confluito nel gruppo Ubi. La stizza della Banca d’Italia, che non gradisce la cacciata di Pallini, si può leggere tra le righe nella relazione del 24 maggio 2011: «Gli inviti a sostituire alcuni esponenti si rivolgevano» al consiglio di amministrazione «mentre non risultava alcuna prescrizione specifica relativamente al vertice dell’esecutivo».
Comunque sia, il nuovo arrivato Tuccari si dà subito da fare. Si accorge che il sistema di gestione dei rischi fa acqua ancor più di quanto avessero evidenziato gli ispettori, la cui visita non aveva impedito alla Spoleto di chiudere il bilancio 2010 in utile. Il fattore cruciale sono i crediti inesigibili: quando un istituto si accorge che un prestito non tornerà indietro per intero è tenuto a fare delle “rettifiche”, cioè a ridurre il valore di quei crediti in bilancio. A Spoleto ne servono eccome: Tuccari verifica che esistono decine di mutui definiti ancora “in bonis”, nonostante le rate non vengano pagate da 24 mesi, e introduce un nuovo sistema di monitoraggio. Ebbene, in due anni, nel 2011 e nel 2012, la nuova gestione compie rettifiche per 120 milioni, pari a quelle degli otto anni precedenti. Una scelta non indolore per i soci, visto che il bilancio chiude in perdita. Nel frattempo si dà da fare per crescere. Rafforza le filiali di Roma e di Milano, dove inizia a partecipare a operazioni di finanziamento di imprese che prima non erano clienti, e ne apre una a Torino, dove strappa alcuni “private banker” al Banco Desio, che si portano in dote significativi patrimoni: stando a un documento interno, nel gennaio 2013, la cosiddetta “raccolta” della filiale – ovvero i quattrini depositati dai clienti, i fondi e i titoli in gestione – era infatti pari a 161 milioni di euro, una cifra che faceva dell’agenzia una specie di polmone finanziario per l’intera banca, che in Umbria si scontra con un mercato in grave difficoltà, visto che nello stesso periodo l’intero sistema bancario raccoglieva risorse dalla clientela per 17,9 miliardi, mentre ne prestava a famiglie e imprese per 21,9. Per inciso: al Banco Desio, che due anni più tardi acquisterà la Spoleto, il ratto dei propri banker non va giù, al punto che promuove – inutilmente – una causa.
La centenaria storia della Spoleto volge però al termine. Meno di due anni dopo la prima ispezione, la Banca d’Italia manda nuovamente in Umbria i suoi specialisti. Le conclusioni sono note: la qualità dei crediti (soprattutto i vecchi) viene messa nel mirino, e la gestione dei rischi è analizzata questa volta in modo minuzioso, giudicandola ancora deficitaria. Così come vengono passati al setaccio i contatti – tra cui alcune mail di Antonini – con un presunto investitore serbo, interessato a diventare socio, che gli uomini di Visco sospettano di riciclaggio. La conclusione è anch’essa nota, il commissariamento, ma ancora una volta sono alcuni passaggi della relazione ad apparire controversi: la Spoleto viene accusata di aver fatto crescere i prestiti in maniera più rapida della raccolta, al punto da aver dovuto ricostituire le proprie riserve grazie alle «misure straordinarie adottate dalla Bce all’inizio del 2012». Ma era stata proprio la Banca d’Italia a impedire, con l’ispezione in corso, un aumento di capitale. E lo squilibrio patrimoniale tra prestiti e raccolta (il rapporto tra i due aggregati, calcolano gli ispettori, era pari al 118 per cento) non fa della Spoleto un unicum: al 31 dicembre 2012 la neo-costituita Cassa di Risparmio dell’Umbria (gruppo Intesa Sanpaolo) aveva impieghi per 3,1 miliardi a fronte di una raccolta diretta di 1,9 (per un rapporto superiore al 160 per cento).
Fatto sta che parte il commissariamento. I plenipotenziari inviati da Visco a Spoleto, Gianluca Brancadoro, Nicola Stabile, Giovanni Boccolini, possono dire di essere fra i pochi commissari ad aver portato a termine il loro mandato, trovando un acquirente per l’istituto loro affidato. Ma le polemiche sui tre sono infinite. Brancadoro, un avvocato con una lunga esperienza e diverse frequentazioni politiche (in area Alleanza Nazionale, scriveva il “Corriere della Sera” qualche tempo fa) che l’hanno portato a fare il commissario dell’Alitalia e nel consiglio dell’Enav, a cessione ultimata accetta la nomina di presidente della Tercas di Teramo, una banca che fa concorrenza alla Spoleto alla periferia dei rispettivi territori. Mentre Stabile, anche lui ex ispettore Bankitalia, una decina d’anni fa era finito nel mirino dei critici perché, dopo aver lavorato come ispettore alla Popolare Vicenza, aveva ricevuto dal presidente dell’istituto veneto, Gianni Zonin, un invito in una delle sue tenute.
IL BANCO DESIO ANTICIPA IL TESORO
Le questioni su cui ora è chiamata a indagare la procura di Spoleto, però, non sono di forma ma di sostanza. La super-performante filiale di Torino della Spoleto è stata venduta alla Popolare Vicenza a un prezzo che i soci autori delle denunce ritengono quasi pro-forma. E poi si torna alla questione dei prestiti in sofferenza: durante i 18 mesi della loro gestione, i commissari hanno operato una nuova, profonda svalutazione dei crediti alla clientela. Una prudenza necessaria, si potrebbe dire, visti i trascorsi. Ma che non convince i vecchi soci, che notano come nessuna altra banca del territorio, nemmeno le filiali nel centro Italia del Banco Desio (che poi il nuovo proprietario ha provveduto a fondere con la Popolare stessa), possa vantare indici di copertura dei crediti a rischio così stringenti. L’effetto di queste manovre è stato quello di determinare nuove perdite in bilancio alla Spoleto, proprio nel momento della cessione, influendo sul prezzo strappato ai compratori.
Per capire se queste critiche sono fondate o no, occorre attendere che i magistrati umbri sbroglino la matassa. Sul piano procedurale, però, c’è una questione più urgente. Come è noto, a inizio 2015 il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto del Tesoro che recepiva la richiesta di commissariamento avanzata dalla Banca d’Italia, sostenendo che il ministero non ha effettuato una propria autonoma valutazione, facendo così venire meno il suo dovere di controllo di un atto amministrativo così importante. Il decreto del Tesoro è stato riproposto il 20 aprile con la formula che il provvedimento è valido «ora per allora», cioè per il 2013. Il Consiglio di Stato dovrà esprimersi su questo nuovo provvedimento. Le spine però non mancano. Perché la stessa espressione, «ora per allora», era già stata usata il 19 marzo dalla Banca d’Italia nella richiesta al ministero di reiterare il decreto. E il Banco Desio si era preoccupato di farlo sapere a tutti, in un documento datato 27 marzo. Quasi un mese prima che il Tesoro formalizzasse la sua decisione.