MF, 30 ottobre 2015
Bce e Fed si studiano a vicenda, ma a fine anno Draghi lancerà comunque il nuovo Qe per rilanciare la crescita europea
Alcuni osservatori insistono nel sostenere che la Federal Reserve sta dimostrando eccessiva incertezza sui tassi di interesse e che permane l’assenza, nella politica della banca centrale americana, di una regola chiara. Eppure, nel rinviare al 15 e 16 dicembre l’assunzione di una decisione che consisterà nel determinare se sia appropriato un aumento dei tassi, mercoledì scorso il Fomc, al termine della riunione, ha precisato che all’uopo valuterà i progressi, realizzati e attesi, verso gli obiettivi di massima occupazione e di inflazione al 2%. È difficile negare che questa volta vi sia stata chiarezza. I parametri sono stati puntualmente esplicitati e non viene neppure più adombrato un giudizio non favorevole sulla ripresa, limitandosi la Fed ad affermare che continuerà a monitorare gli sviluppi economici e finanziari. Questa volta, la banca centrale è stata così trasparente che alcuni, i quali ritenevano che neppure a dicembre ci sarebbe l’avvio di una stretta di politica monetaria, sono stati colti in contropiede, così, almeno inizialmente, come la stessa Borsa. Insomma, l’interpretazione è stata quella di una sufficiente certezza circa l’aumento del costo del denaro alla fine dell’anno. Certo, per non aver deciso ora, è da ritenere che la maggioranza del Fomc ritiene non esaustivi le informazioni e i dati, consuntivi e prospettici, sui due versanti citati e, comunque, mette in conto che l’esaustività, per poter poi compiutamente giudicare e deliberare, a dicembre si conseguirà. Si può anche aggiungere che un certo peso nel rinvio potrebbero averlo avuto le motivazioni politiche, con la distinzione tra repubblicani, prevalentemente falchi, e democratici, di norma colombe, a maggior ragione nella lunga prospettiva delle elezioni presidenziali. Ma non si può trascurare che inflazione e occupazione compongono il mandato della Fed e che, per entrambi questi fattori, non si è potuto concludere, nel recente passato, che i livelli conseguiti fossero coerenti con la missione, la quale, tra l’altro, prevede per l’inflazione, come accennato e quasi come per la Bce, l’obiettivo del 2% dal quale oggi è lontana: sorge così la doverosità di valutare se la risalita, almeno pro futuro, sia probabile, essendo inappropriata una stretta in presenza di un’inflazione anche prospettica molto distante dal suddetto livello. Valutati gli elementi a favore e quelli contrari, si può, comunque, prevedere che a dicembre effettivamente la Fed deciderà e si tratterà di verificare se si tratterà di un mero avvio di un cambiamento di politica molto graduale, quasi soft, oppure se sarà consistente, anche per giocare d’anticipo sul rilancio dell’inflazione, se quest’ultimo si prospetterà e non sarà bilanciato dalla lentezza o, addirittura, dall’assenza della crescita dell’occupazione. In ogni caso, accanto ad alcuni problemi che l’eventuale aumento dei tassi americani comporterà (alla cui decisione non potrà non concorrere, anche se non in primissimo piano, la valutazione del contesto internazionale, della situazione dei Paesi emergenti e dell’economia cinese) vi sarà l’aspetto positivo, in parte già delineatosi, della ripresa in atto che esso presupporrà e con tale aumento si certificherà.
Se, comunque, la Bce attendeva una decisione della Fed (ma è da ritenere che gli esponenti dell’Istituto conoscessero meglio di tanti altri le ragioni che avrebbero impedito mercoledì di deliberare) potrà essere rimasta delusa, dal momento che sarà chiamata a decidere sul quantitative easing e sugli altri strumenti di politica monetaria, anch’essa a dicembre, ma prima della Fed. Vedremo nei prossimi giorni le eventuali decisioni della Banca del Giappone. Ma l’Istituto di Francoforte verosimilmente riterrà che l’accennata seduta della Fed non si tradurrà in un nuovo nulla di fatto e potrà mettere in conto le probabilità di un rafforzamento del dollaro, con impatto sul cambio con la moneta unica, che, però, non sarà motivo sufficiente per non agire da parte della stessa Bce, rinviando, pure essa, a una successiva riunione. Impone una scelta la lontananza dell’inflazione dal livello che possa far dire assolto il mandato sul mantenimento della stabilità dei prezzi, su cui troppo lentamente, in un’eventuale alternativa, agirebbe il cambio, oltreché non certo compiutamente. Ovviamente, la Bce dovrà completare la valutazione dei dati economico-finanziari e dell’impatto che il Qe ha sinora avuto sui sistemi bancari, sui debiti pubblici e sull’economia in genere, così come andrà esaminato l’effetto della vigente penalizzazione dei depositi. Non mancano voci contrarie, soprattutto tedesche, come ormai è rituale in Germania, a misure che si potrebbero adottare a dicembre sul Qe o sui depositi ovvero su entrambi. Queste voci rilevano che il Qe è iniziato da non molto tempo e, quindi, si può ancora attendere prima di decidere. Non si capisce ancora bene se si tratti di ostacoli posti preventivamente per poi tentare di ridimensionare la portata dei provvedimenti che fossero proposti da Draghi ovvero si tratti di una volontà determinata a contrastare comunque una decisione. Tuttavia, dato l’impegno assunto in prima persona da Mario Draghi, la riunione di dicembre non potrà sottrarsi, per ragioni di credibilità, a una deliberazione, una volta che i dati confermeranno i presupposti, cosa molto probabile, per decidere. Una decisione anche a maggioranza: non sarebbe la prima volta di una tale modalità di voto. Sarà preferibile un’azione d’urto, netta e determinata, piuttosto che una misura a prevalente effetto segnaletico. Ora che la ripresa, pur ancora debole, appare meno incerta, è il caso di sfruttare il contesto ed evitare una rateizzazione degli interventi. Siamo in una situazione assai lontana dal 2012 e dalla famosa dichiarazione di Draghi sulla difesa della moneta unica, si iniziano a fare i conti con un ambiente di tassi d’interesse negativi, anche se non è prossima la trappola della liquidità: un forte impulso che agisca su quantità, qualità, importi, scaglionamenti del Qe, senza peraltro trascurare gli strumenti della non ridimensionata panoplia della Bce, appare più che opportuno, necessario e strategicamente assai importante.