il Fatto Quotidiano, 30 ottobre 2015
Il Parlamento europeo ha assegnato il Premio Sakharov 2015 (sorta di Nobel europeo per le libertà fondamentali e i diritti umani) a Raif Badawi, il blogger saudita condannato a dieci anni di carcere e 1.000 frustate per apostasia. «Ma la sedia al centro dell’aula di Strasburgo resterà probabilmente vuota: Raif Badawi è considerato un nemico mortale per la monarchia saudita»
“L’agente lo ha colpito, contando ogni volta fino a 50, senza fermarsi. Quando ha finito, la folla ha iniziato a urlare ‘Allah-hu Akbar! Allah-hu Akbar!’ come se quell’uomo fosse stato purificato e liberato dal male. Era a volto scoperto, tutti potevano vederlo. La gente si è messa in cerchio. Si chiedevano se fosse un assassino, uno che non pregava. Ha sollevato la testa verso il cielo, ha chiuso gli occhi e inarcato la schiena. Stava zitto, ma dall’espressione del suo volto potevi renderti conto del dolore che provava”.
Questa è la testimonianza di chi ha assistito venerdì 9 gennaio 2015, nella piazza di fronte alla moschea al Jafali di Gedda, alle prime 50 frustate a Raif Badawi: avrebbe dovuto riceverne 50 ogni venerdì. Il blogger, 31 anni, attivista e fondatore del sito Free Saudi Liberals (liberali sauditi), è stato arrestato nel 2012 per oltraggio all’islam con mezzi informatici e processato per apostasia. Condannato a sette anni di carcere e 600 frustate nel 2013, la sua pena è stata innalzata nel 2014 a dieci anni, mille frustate e una multa di un milione di ryal, 200 mila euro circa.
“Il blogging non è un crimine. Badawi ha vinto il premio Sakharov 2015”. Così ieri il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha annunciato la decisione di consegnargli il “Nobel” europeo (che prende il nome da Andrej Sacharov, dissidente del regime sovietico e vincitore del Nobel per la pace nel 1975), creato nel 1988 per le persone o le organizzazioni che si battono per le libertà fondamentali e i diritti umani. Il nome di Badawi entra così in un albo aperto da Nelson Mandela e che conta tra gli altri le madri di Plaza de Mayo argentine, le Damas de Blanco cubane, il regista iraniano Jafar Panahi e la pachistana Malala Yousafzai che ha sfidato i Taliban.
Ma la sedia al centro dell’aula di Strasburgo resterà probabilmente vuota: Raif Badawi è considerato un nemico mortale per la monarchia saudita. Persino il suo avvocato difensore, Waleed Abulkhair, è stato condannato a 15 anni di prigione, mentre dal 2012 la moglie Ensaf Haidar e i tre figli vivono in Canada, con lo status di rifugiati per motivi umanitari.
Il blogger, sopravvissuto alle prime 50 frustate che gli sono state inflitte, ha ricevuto la sospensione momentanea delle restanti 950 da parte della Corte suprema dopo una grande mobilitazione della comunità internazionale in suo favore. Da 18 premi Nobel, Amnesty International e Human Rights Watch, è arrivata la condanna unanime per la persecuzione di un uomo la cui “unica colpa è promuovere un dibattito pacifico”.
“Ha ricevuto la più brutale delle condanne, una vera tortura”, ha detto il presidente del Parlamento Martin Schulz annunciando il nome del vincitore tra gli applausi dell’emiciclo. “Faccio appello al re dell’Arabia Saudita perché conceda la grazia”, lo liberi “immediatamente” e gli permetta di essere a dicembre a Strasburgo per ricevere di persona il premio. “Raif Badawi è un prigioniero di coscienza, il cui unico ‘reato’ è stato quello di esercitare il diritto alla libertà d’espressione fondando un sito per il pubblico dibattito”, ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che ha scritto un intervento nel libro 1000 frustate per la libertà (Chiarelettere), una raccolta di 14 interventi del blogger saudita pubblicati online per lo più dal 2010 al 2012 e che gli sono valsi la lenta condanna a morte.
Raif Badawi ha scritto i suoi testi in un momento cruciale per le guerra in Siria e in Iraq, ha parlato di Califfato, di Primavera araba, dell’11 settembre, della sottomissione della donna, del rapporto con gli occidentali e di terrorismo. Ha osato sfidare a testa alta quegli stessi vertici del potere dell’Arabia Saudita, che a gennaio, mentre lo condannavano a morte, sfilavano a Parigi in difesa della libertà di parola dopo l’attentato contro Charlie Hebdo.