la Repubblica, 30 ottobre 2015
Su Encelado, luna di Saturno, c’è l’acqua, dunque potrebbero esserci microorganismi, vale a dire la vita. La Nasa ha impegnato su questo fronte 64 miliardi di dollari
WASHINGTON.
È l’acqua il Filo di Arianna che ci condurrà alla scoperta della vita del labirinto dell’Universo. Scoperta ora, dopo Marte, anche in una glaciale luna di Saturno dalla quale sgorga, promette di racchiudere i segreti della nuovissima frontiera dell’esplorazione spaziale, la biologia. Colombo cercava la Terra, i suoi nipoti cercano acqua.
L’acqua è il nuovo orizzonte della Nasa e degli altri enti spaziali che dopo avere completato l’esplorazione astrofisica del nostro sistema solare con la missione della sonda “New Horizons” arrivata fra le lune di Plutone, cominciano la fase dell’astrobiologia, dell’esplorazione della possibile vita o almeno delle componenti che la vita potrebbero produrre.
È stata una gigantesca sfera di ghiaccio, che dalle foto somiglia a un immensa calotta polare senza rischi di scioglimento a una temperatura di 200 gradi centigradi sotto zero nelle ore più calde, una luna di Saturno battezzata con il nome del gigante Encelado dalla mitologia greca, ad alimentare le speranze dei nuovi rabdomanti spaziali.
Cassini, la sonda lanciata esattamente otto anni or sono e la prima ad avere posato le proprie zampe sul suolo di Titano, la massima luna di Saturno, ha inviato alla Terra le immagini sbalorditive di Encelado che sprigiona dalle crepe della propria crosta di ghiaccio, geyser e nubi di acqua, visibilissime nel contrasto con il buio del cielo senza atmosfera. Getti e piume che fuoriescono dall’oceano intrappolato sotto la calotta che scricchiola e si deforma nella costante lotta con la forza di attrazione del pianeta Saturno. «È come se Encelado offrisse ai noi umani campioncini gratuiti, risparmiandoci la fatica di trivellare e scavare sotto il ghiaccio» ha detto al New York Times entusiasta l’astrobiologo della Nasa Chris McKay.
Gratuiti non proprio, perché la caccia all’acqua nei corpi del Sistema Solare, che questa ed altre scoperte come la possibile presenza dell’elisir della vita su Marte hanno scatenato, costerà 64 miliardi di dollari, ma il mantra della Nasa, e la speranza di riscaldare di nuovo gli entusiasmi di governi e opinioni pubbliche fredde come la crosta di Encelado è questa: «Follow the water». Seguite l’acqua per scoprire se esista vita oltre la Terra, come 40 anni or sono si seguirono i soldi per scoprire le malefatte di Nixon.
Vita, occorre sempre ripetere, che certamente non si manifesterà – se esiste o se mai è esistita – in creature tentacolari e verdognole, ma in batteri, microrganismi o anche soltanto negli elementi base del brodo primordiale dal quale “darwiniamente”, ripetono gli astrobiologi scettici su eventuali “disegnatori intelligenti” dell’universo, può essersi formato un organismo vivente. Alle soglie della fantascienza, ma ormai sempre meno fantasia e sempre più scienza, se in quell’acqua liberata dagli oceani intrappolati di Encelado si scoprissero i mattoncini della vita, un’astronave di passaggio potrebbe raccoglierli ed esaminarli, senza neppure bisogno di avvicinarsi o di posarsi sulla superficie.
Cassini, battezzata con il nome dell’astronomo e matematico ligure Gian Domenico Cassini che scoprì quattro delle lune di Saturno, è stata un miracolo di tecnologia e di telecomunicazione, perfettamente funzionante nei suoi motori e nella strumentazione, compresa la grande antenna costruita dall’Ente Spaziale Italiano. Ma non era stata concepita per analisi biologiche quando fu lanciata nel 1997 e non sarà capace di stabilire quale sia la composizione della piccola luna di ghiaccio – appena 500 chilometri di diametro, la distanza fra Roma e Milano – e che cosa contenga l’acqua che dai suoi oceani carsici si sprigiona.
Altre sonde laboratorio dovranno seguire la sua rotta mentre il nuovo supertelescopio orbitante James Webb della Nasa, previsto per il 2018, destinato a guardare come mai prima nelle profondità della galassia, sarà programmato per un nuovo tipo di ricerca. Sarà l’“Indice di Abitabilità”, dedicato agli esopianeti, ai pianeti fuori dal nostro sistema solare, come l’ormai celeberrimo Keplero. Con una lista di priorità, il telescopio Webb dovrà aiutare gli esploratori dalla Terra a decidere quale di questi lontani corpi presentino più probabilità di avere vita, anche oltre i 21 già classificati come “potenzialmente abitabili”.
Ma resterà sempre l’acqua il filo da seguire nel labirinto cosmico. Dopo il passaggio di New Horizons nelle vicinanze di Plutone, lo scorso mese di luglio, la visione degli spruzzi di acqua dalla piccola luna di ghiaccio è stato quello che i matematici chiamano il “punto di inflessione”, quando la curva di un percorso e di una ricerca cambia direzione, ha scritto il principale collaboratore scientifico del New York Times, Dennis Overbye, astrofisico laureato al Mit di Boston. «Abbiamo finito di contare i sassi nel nostro giardino, ora dobbiamo rivoltarli per vedere che cosa possa vivere sotto di loro».
E la rivelazione più sconvolgente di questa caccia alle origini della vita potrebbe essere la scoperta che gli alieni siamo noi. Che i nostri elementari antenati, ancora sotto forma di molecole, potrebbero essere arrivati sulla Terra portati da un asteroide o dal frammento di altri corpi celesti nel caos del tempo e lì avere cominciato il percorso verso forme di vita. «Sapremo di più fra vent’anni» dicono alla Nasa e tra molti miliardi da spendere. Quei miliardi dei quali ormai nessuno, nel Parlamento americano o fra i candidati alla Casa Bianca, parla più, fissati sulla ricerca della vita nelle cabine elettorali.