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 2015  ottobre 30 Venerdì calendario

La Juventus è ufficialmente in crisi. Buffon: «Sono stanco di queste figure da pellegrini». Nostalgia per Conte, chiacchiere sui nomi di Lippi, Capello o Mazzarri

Una crisi aperta, quasi spalancata. La Juventus si è messa a nudo e ha mostrato ufficialmente a tutti la profondità del suo malessere. Con il primo tempo «indegno» (copyright Buffon) di Reggio Emilia. Con la quarta sconfitta in dieci partite. Con le parole durissime del dopo gara, arrivate assieme alla decisione della società di mandare la squadra in ritiro, in vista del derby di domani sera contro il Torino. Una partita da vincere, è ovvio. Ma il problema non è nemmeno più quello. «Perché quest’anno abbiamo già dato delle prove di forza – sottolinea lo stesso Buffon –. Il problema è che poi ci saranno altre partite, come quella di Empoli, che andranno affrontate come il derby e così via. Se abbiamo voglia, capacità e orgoglio dobbiamo imperniare una riscossa su 10-12 partite, non su un “filottino” da provinciale che si può permettere di fallire la quarta come abbiamo fatto contro il Sassuolo. Una gara senza nulla, senza mordente, che fa capire che dobbiamo migliorare nella responsabilità. Gli altri anni te lo potevi permettere: avevi una forza e una bravura tecnica che sopperiva. Quest’anno se non sei sul pezzo, non vinci. Ci vuole umiltà. Se non lo capiamo naufraghiamo e facciamo figure da pellegrini. A 38 anni non ho voglia e in tanti non intendono finire così».
Resterebbe da capire chi sono «i pochi» che non comprendono la situazione e la sua gravità. Certificata dalla routine militaresca del ritiro: pranzo obbligatorio a Vinovo, un confronto acceso con lo staff, l’a.d. Marotta e il d.s. Paratici, l’allenamento e poi alle 18.15 tutti in hotel a Leinì. Del fatto che non tutti siano sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda ne parla anche Patrice Evra, che ieri ha affidato a Sky la sua voce di senatore rotto a mille esperienze, tra cui anche l’ammutinamento della Nazionale francese a Sudafrica 2010 contro il c.t. Domenech: «Può darsi che certi giocatori non siano coscienti della situazione, non siano responsabili. Stiamo buttando via il traguardo del quinto scudetto di fila. Il messaggio che mando ai miei compagni è solo di rispettare questa maglia. Nel primo tempo contro il Sassuolo non lo abbiamo fatto».
Se si tirano in ballo concetti come il «rispetto della maglia» vuol dire che la ferita è profonda e non basterà un derby vinto a medicarla. Servirà più tempo. Ma serve anche uno scatto in avanti di Massimiliano Allegri: la sua Juve, anche se è costretta a cambiare formazione per infortuni o turnover necessario, non può essere sempre così passiva nell’approccio della partita. Il fatto che in determinati incontri (Manchester o Milano) la prestazione sia arrivata, dimostra non solo che questa squadra ha comunque delle qualità e dei margini di progresso, ma anche che emotivamente c’è una sorta di autogestione degli stimoli. Un fattore – pericoloso – che spiegherebbe quello che Evra chiama «lo yo-yo. Una squadra che va su e giù e che non è la vera Juve».
Ma siamo tornati indietro a quattro anni fa, all’era pre-Conte? «No – risponde senza titubanza Buffon – perché abbiamo un altro tipo di certezza e di consapevolezza. Quattro anni fa non perdevamo perché pensavamo di essere più forti, quest’anno perdiamo perché pensiamo di esserlo». Quindi c’è un’ulteriore aggravante, la presunzione. E anche qui la gestione mentale dello spogliatoio, prima ancora del modo di stare in campo, è sotto stretta osservazione da parte della società. La posizione di Allegri è legata ai risultati. Serve una reazione forte, chiara e prolungata per scacciare i nomi di Lippi e di Capello o di Mazzarri. E anche per evitare l’eterno ritorno del confronto con Antonio Conte che aveva dato alla Juve non solo un gioco riconoscibile, ma anche gli «occhi di tigre» che quest’anno non si sono mai visti. Conte a fine stagione potrebbe lasciare la Nazionale. Con la Juve il divorzio fu tempestoso, ma il tempo aggiusta le cose, aiuta a vederle in prospettiva. La nostalgia di Conte si fa sentire, eccome. E non solo tra i tifosi.