Corriere della Sera, 30 ottobre 2015
La ragazza assassina di Melito quest’anno era cambiata, s’era messa a un tratto a studiare
Un po’ punk, un po’ manga, un po’ emo. I capelli erano celesti ma anche viola o rossi, le unghie smaltate di nero, la sua passione i videogiochi giapponesi, il suo mantra: «Social, solitudine e cuffiette». Sara viveva così e andava fiera del look da harajuku girl, stravagante e asociale.
Il passato è d’obbligo perché quest’anno la studentessa è cambiata. «È tornata a scuola con i capelli normali, senza cuffiette e ha iniziato a parlare con noi – dice la compagna di classe più vicina a lei —. Adesso ha anche un ragazzo. Prima, invece, era sempre seduta da sola al suo banco ad ascoltare musica». È diventata di colpo espansiva, tanto da essere ripresa da un professore perché baciava in classe il ragazzo. Terzo anno di un istituto tecnico che odiava. «Fino a cinque mesi fa era spesso assente e se ne stava in disparte. Quest’anno invece ha iniziato diversamente, con più impegno e serietà», aggiunge un docente.
Cosa sia successo fra le due vite di Sara è scritto nella cronaca nera di Melito Porto Salvo, paesino sulla punta dello Stivale a una trentina di chilometri da Reggio Calabria, dove una notte di maggio sua madre è stata uccisa con un solo colpo di pistola. La mamma faceva l’infermiera, il padre è un poliziotto e quell’arma era stata da lui nascosta nell’armadio. Sara e i suoi genitori, un rapporto difficile, tormentato dalla cupezza e dai brutti voti. La situazione è precipitata sul finire dell’anno, con gli ultimi compiti e le interrogazioni che facevano presagire una bocciatura e nuovi scontri in famiglia. «La signora era molto arrabbiata con lei perché stava sempre al computer e al cellulare. La ragazza aveva preso a detestarla», dice un investigatore. Sara era già ripetente e quello sarebbe stato un nuovo fallimento. «Ha così meditato ed eseguito il delitto. Ha atteso l’assenza del padre, la notte». Ma lei non è una professionista del crimine e ha lasciato tracce ovunque, perfino sulla pistola. Messa alle strette si è contraddetta e la sua versione dei fatti è diventata traballante. Dopo il delitto è sembrata imperturbabile. Si è trasferita con il padre a casa dei nonni dove è iniziata una trasformazione, aiutata da uno psicologo. «Grande supporto l’hanno dato i genitori del papà che hanno preso ad accompagnarla a scuola fin da subito». Sara ha anche smesso di navigare in Rete e in particolare su Facebook che era una delle sue attività preferite. Ha ripreso solo una settimana fa, pubblicando un’immagine di sé molto più sobria delle altre.
La precedente foto è del 19 maggio, sei giorni prima dell’omicidio, e lei compare con i capelli azzurri. Risalendo nel tempo, si trova traccia della sua storia da harajuku. Spunta una ragazza dallo sguardo allucinato, occhi viola e capelli azzurri, e lei ne è affascinata: «Ma sei vera? Io mi lascio col ragazzo e ti vengo a cercare fino a casa». Grandi slanci e brusche cadute. C’è la dolce foto di un orsacchiotto che ha scritto «ti amo» sul bavaglino, ci sono vari affettuosi gattini e ci sono videogames di guerra e stilettate a questo o quello. In una vignetta, una vertigine: «Ti ammazzo nel sonno». Gli inquirenti hanno però verificato: «L’abbiamo notata anche noi ma ci sentiamo di escludere che fosse un messaggio premonitore». Anche il padre ha il profilo Fb. E pure lui ha smesso di scrivere quando la moglie è stata uccisa. Lì è iniziato il suo calvario di genitore che vede l’unica figlia sospettata di aver commesso il delitto della donna che amava. Per il giudice che ha disposto l’arresto l’accusa è pesante: Giulia avrebbe pianificato tutto. Quella notte, quando ha sparato, ha agito con «lucida freddezza». La stessa freddezza che i carabinieri hanno visto ieri quando si sono presentati a casa dei nonni: «Devi venire con noi». Sara non ha detto nulla, li ha seguiti e ha salutato il padre, rimasto solo con il suo dolore.