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 2015  ottobre 30 Venerdì calendario

Ian Bremmer giudica la svolta cinese sul figlio unico «troppo poco, troppo tardi»

«Con una crescita reale dell’economia vicina al 5 per cento, una struttura demografica della popolazione sempre più vicina a quella giapponese, anziana e stagnante, Pechino non aveva grande spazio di manovra. Ma la decisione di portare a due i figli per le coppie sposate è troppo poco, troppo tardi».
Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia, il principale centro di ricerca specializzato in rischi geopolitici, non vede grandi cambiamenti in vista nella struttura delle società cinese. Non a breve termine almeno.
Perché «troppo poco troppo tardi»?
«La legge sul figlio unico era già stata emendata parzialmente nel 2013 da Xi Jinping, consentendo di avere un secondo figlio alle coppie con uno dei coniugi a sua volta figlio unico. Un provvedimento che si è rivelato inefficace. Il trend demografico negativo è continuato. Con una tendenza all’invecchiamento capace di portare, nel 2030, la Cina sui livelli del Giappone: stupefacente. Il tutto lasciando in prospettiva inalterato il tasso di povertà. Era necessario cambiare, dare un segnale. Perché troppo poco troppo tardi? Perché un secondo figlio non basterà a invertire il trend. La società cinese è sempre più istruita e urbanizzata. Ma gli stipendi e gli alloggi sono quello che sono. Perciò senza politiche di aiuto alle famiglie simili a quelle varate in Francia – assegni mensili, scuole, servizi essenziali – difficilmente assisteremo a un boom nelle nascite».
A suo avviso come cambierà la società cinese?
«Le spinte al cambiamento sono già presenti nella Repubblica popolare e non dipendono tanto dalla demografia quanto dalla crescita della classe media. Se qualcuno pensa che la Cina potrà andare incontro a carenza di lavoratori può mettersi l’animo in pace. La capacità organizzativa dell’Impero di Mezzo, unita al suo autoritarismo, è in grado di far fronte a qualunque emergenza: a Pechino basterà far rientrare i propri lavoratori che al momento stanno costruendo infrastrutture in mezzo mondo. O ancora, ordinare la mobilitazione di reparti dell’esercito e mandarli nelle fabbriche. Oppure possiamo immaginare che la crescente capacità tecnologica compenserà la diminuzione della forza lavora non specializzata. In realtà la Cina ha priorità ben maggiori rispetto alla riforma della pianificazione familiare. Penso ai problemi ambientali o alla liberalizzazione della società. Nel 2030 la Cina avrà una popolazione più vecchia e meno forza lavoro: ma il governo avrà tutto quello che gli occorrerà per mantenere la stabilità».
Se le cose stanno così, perché non cancellare ogni vincolo alle famiglie? Perché solo due figli?
«Perché la completa liberalizzazione, in questo momento, potrebbe far perdere a Pechino il controllo sui grandi trend demografici, pensiamo soltanto ai movimenti tra le campagne e le città. Questo il regime non può permetterselo. Non sarebbe saggio. D’altro canto, se guardiamo a Paesi confinanti come la Russia e l’India, la Cina si trova senza alcun dubbio in vantaggio quanto a risorse e capacità di sfruttarle a proprio beneficio. In Cina hanno costruito un numero di città dal nulla che aspettano ancora di essere popolate. E il governo ha, nonostante la corruzione diffusa, una classe di tecnocrati preparati e molto efficienti capaci di adeguare le politiche alle necessità dei tempi».
Nonostante tutto un futuro roseo per la Cina?
«Un tempo c’era chi diceva che con una crescita del Pil sotto l’8% la Cina sarebbe crollata. Non è avvenuto e siamo al 5% reale. Il sistema cinese è molto più duttile di quel che può apparire».