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 2015  ottobre 30 Venerdì calendario

A passeggio, ieri pomeriggio, col sindaco Marino

ROMA Il vialetto è male illuminato, pieno di pozzanghere d’una melma giallastra e lui ci cammina dentro, allunga il passo, china la testa, mentre un gruppo di sostenitori – sempre gli stessi, una piccola compagnia di giro affettuosa e con i pomeriggi liberi – si stringe in un mischione, cercando di abbracciarlo.
Riescono solo ad urlargli che è un grande sindaco. E che fa bene a non mollare. Una signora bionda, in trench Burberry blu, alza un cartello. «Sei un angelo».
Ma lui non lo vede. Lui non ascolta.
Viene avanti con il viso d’un pallore spaventevole. Le pupille immobili dietro gli occhialini appannati. Con un gesto deciso della mano sposta un fotografo che nella bolgia è sfuggito al servizio d’ordine e poi, con una specie di balzo, s’infila nel sedile posteriore della Fiat Cinquecento X.
«Dai! Vai! Forza!», ordina – con tono secco – al conducente.
Il conducente obbedisce e sgomma.
L’altro uomo della scorta è ancora seduto di lato con una gamba fuori e quasi la lascia sul cancello.
Le agenzie di stampa battono la notizia che il sindaco Ignazio Marino ha già lasciato l’ex caserma Guido Reni, dov’è in corso il convegno sulla trasformazione urbanistica subìta da Roma negli ultimi due anni. «Troppi giornalisti – ha detto – vado via». Di solito, quando andava via da situazioni imbarazzanti, quando decideva di volersi sottrarre alle domande, ricorreva a un sorrisone largo e al numero della mano destra alzata, con il dito medio e dito indice aperti a formare la «V» di vittoria.
Quella di poco fa, invece, è sembrata qualcosa di molto simile a una fuga.
Le lancette dell’orologio segnano le 18,07: ha deciso di ritirare le dimissioni e tornare ad essere un sindaco con piene funzioni da poco meno di due ore. Il tempo necessario, è possibile intuire, per sentirsi tremendamente solo.
O male accompagnato.
Dalla piazza del Campidoglio, via radio, avvertono la scorta che ad aspettare il sindaco c’è qualche curioso. Meglio fare il giro largo e passare da sotto, dal solito ingresso secondario.
Solo che questi qui non sono curiosi: sono militanti di Casa Pound.
Siamo arrivati tutti insieme, il truppone dei cronisti e dei cameraman al seguito del sindaco, ed è stato un operatore di Sky ad avvertirli: «Oh, ragazzi: il sindaco è già su...».
Adesso ancora scandiscono slogan così: «Marino resta/ resta con noiii!...». Camerati solidali: «Ignazio sfondaci il Pd». Lo chiamano per nome, sghignazzano, uno decide che alle sette di sera è il caso di sfilarsi i Ray-Ban da sole.
Ciò che resta dell’ufficio stampa del Comune di Roma, saggiamente, evita di riferire a Marino quel che accade giù nella piazza. Gli hanno invece portato un bicchiere d’acqua fredda. Chiedendogli se avesse bisogno d’altro. «Un panino, eh?». No: da un punto di vista pratico, e politico, Marino avrebbe intanto bisogno di qualche assessore.
La Giunta che ha appena cominciato a presiedere in un clima grigio di sguardi bassi e voci basse, con i commessi che sembrano camminare sulle punte delle scarpe pur di non fare rumore, è una Giunta con alcune poltrone già vuote.
Il vice-sindaco Marco Causi e tre assessori si sono dimessi (Mario Rossi Doria-Scuola, Stefano Esposito-Trasporti, Luigina Di Liegro-Turismo); altri tre partecipano ma pronti a lasciare alla fine della riunione (Alfonso Sabella-Legalità, Maurizio Pucci-Lavori Pubblici, Giovanna Marinelli-Cultura).
Giornalisti televisivi con scarsa fantasia evocano bunker e assedi. Però è pure vero che da questa piazza ci sono dirette tivvù in onda, senza sosta, ormai da diciassette giorni: e lui si è rivelato un uomo determinato e coraggioso, ma anche dotato di un’ostinazione e una spregiudicatezza non comuni.
Il chirurgo di fama che a 59 anni arriva da Genova passando per la fondazione di Massimo D’Alema «Italianieuropei» e per Palazzo Madama con un curriculum di oltre 650 trapianti d’organo (compreso il primo nella storia dal babuino all’uomo) e il poster di Che Guevara piegato nel trolley, è adesso un sindaco veramente solo e circondato.
I diciannove consiglieri del suo partito, il Pd, sono pronti (meglio: sarebbero pronti, ché nel Pd non si sa mai) a dimettersi. E consiglieri di altri partiti si dicono disposti ad accodarsi.
Brutta storia con finale noto.
(Anche se resiste la sottile sensazione che qualcosa possa ancora succedere: vi ricordate le agende su cui Marino avrebbe minuziosamente annotato tutto quanto accadde durante i giorni di Mafia-Capitale?).