Corriere della Sera, 30 ottobre 2015
Ignazio Marino ha ritirato le dimissioni da sindaco di Roma. Caos generale
ROMA Una riga su Facebook e Twitter, a metà del pomeriggio: «Ho deciso di ritirare le dimissioni presentate lo scorso 12 ottobre», firmato Ignazio Marino. L’ultima sfida al Pd, lanciata dal chirurgo dem, dopo la «fumata nera» del vertice a casa del deputato pd (e vicesindaco) Marco Causi, mercoledì sera.
Ma la sortita di Marino, divenuto ormai l’idolo di tutti gli anti-Pd (e in parte degli anti-Renzi), assomiglia a una di quelle rivoluzioni represse nello spazio di un mattino. Il partito, infatti, aveva già pronta la contromossa, studiata nei giorni scorsi dal commissario romano Matteo Orfini: far dimettere, simultaneamente, 25 consiglieri comunali. L’unico modo per sfuggire al passaggio in aula ed evitare altre lacerazioni. E quando al Nazareno, dove era in corso una riunione tra Orfini e il gruppo del Campidoglio, è piombata la notizia del ritiro delle dimissioni del sindaco, è scattato il «piano B».
Una sarabanda di telefonate, che ha coinvolto i massimi livelli del Pd (è intervenuto anche Luca Lotti) per trovare i 25 disponibili: 19 piddini, 3 dai «cespugli» della maggioranza, più il contributo della Lista Marchini. Orfini telefona ad Alfio Marchini: «Ci serve una mano». E l’imprenditore, che correrà alle prossime Comunali col sostegno anche del centrodestra, si porta dietro un pezzo di quello schieramento.
Nella notte lo stesso Orfini con il capogruppo in Campidoglio, Fabrizio Panecaldo, annuncia che il Pd «è unito e determinato a dare da domani alla Capitale un nuovo inizio». La dichiarazione, dopo il vertice al Nazareno, contiene anche una stoccata al sindaco: «Spiace che Ignazio Marino oggi abbia vanificato uno sforzo comune per individuare soluzioni che avessero al centro la città e non i destini personali, con un inspiegabile arbitrio e un’idea di Roma come di una proprietà privata».
Marino nel pomeriggio era andato alle ex caserme di via Guido Reni, che aveva deciso di trasformare nella «Città della Scienza». Con l’occasione aveva incassato da Diego Della Valle un salvagente: «Non è lui ad aver massacrato la città». Poi il ritorno in Campidoglio con la giunta che approva il suo «testamento politico»: l’ampliamento della pedonalizzazione dei Fori Imperiali. Ma i ranghi sono già dimezzati: 4 assessori (Causi, Stefano Esposito, Luigina Di Liegro, Marco Rossi-Doria) si sono dimessi. Altri 3 (Maurizio Pucci, Alfonso Sabella, Giovanna Marinelli) lo faranno.
Nella lettera di ritiro delle dimissioni Marino chiede «un confronto aperto e trasparente in aula Giulio Cesare». C’è anche il tardivo mea culpa: «Lo sforzo di ripristinare la legalità non è stato sufficiente a garantire il buon governo e pur rivendicando le scelte non ho difficoltà ad ammettere degli errori: ho dato l’impressione di non voler condividere queste scelte con la città e avrei dovuto avere un dialogo più aperto con l’Assemblea e col Pd». È tardi: i 25 che oggi si dimettono chiudono la partita. E la scelta del commissario potrebbe arrivare subito dopo.
Anche Il Fatto del Giorno è dedicato alle dimissioni di Marino