Panorama, 29 ottobre 2015
Le ragioni e i torti nello scontro tra il governo Renzi e il direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi
Nell’interesse dei contribuenti e della crescita del nostro Paese, bisogna augurarsi che ora il governo trovi una rapida e giusta soluzione allo scontro aperto con l’Agenzia delle Entrate e con il suo direttore Rossella Orlandi. Non è facile, perché di tempo se n’è perso troppo. Ma è necessario.
È noto il tema su cui la contesa nasce, cioè la pronunzia di illegittimità sette mesi fa per oltre 800 dirigenti dell’Agenzia, non vincitori di regolare concorso. Ed è arcinoto che in 15 anni i governi hanno in realtà delegato sempre più compiti impropri all’Agenzia, a cominciare dalla stesura dei testi normativi al monopolio della loro interpretazione. Ma sono tutti motivi che dovevano spingere il governo, sette mesi fa, a una decisione rapida. Alla luce della sentenza, sacrosanta, della Corte Costituzionale, occorreva un immediato intervento per salvaguardare la piena funzionalità dell’Agenzia, e soprattutto per accelerarne il riorientamento in tre grandi nuove direzioni, quelle appunto che servono alla crescita italiana. Invece, la decisione non è venuta. O meglio, il governo ha fatto benissimo a non replicare la sanatoria ai vecchi dirigenti illegittimi, come invece aveva disposto l’ex premier Mario Monti nel 2012.
Cosa che è all’origine dell’amarezza di Orlandi, delle 400 impugnative intanto intentate dagli ex dirigenti, e del fatto che molte professionalità apicali, di fronte al taglio retributivo subìto, passino intanto a studi professionali privati. Ma, in attesa del concorso che si terrà l’anno prossimo, occorreva far partire subito la riorganizzazione dell’Agenzia. È questo, che è sinora mancato. Il sottosegretario Enrico Zanetti ha più volte tentato di accelerare. Ma al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan Palazzo Chigi ha detto di andarci piano: perché è vero che l’Agenzia è creatura di Vincenzo Visco, 15 anni fa, ma ne è ancora impregnata. E lo scontro nel Pd sui temi fiscali è già alto e permanente.
Veniamo alle tre questioni aperte. Se il governo ha dovuto estendere i termini della voluntary disclosure, l’emersione volontaria dei patrimoni detenuti all’estero e ignoti al fisco, si è dovuto di fatto all’inceppamento dopo la sentenza della macchina dell’Agenzia. Alla presentazione della domanda di emersione, il complesso fascicolo va preso in carica dai dirigenti. E alle Entrate oggi con soluzione tampone sono rimaste solo circa 300 posizioni a tempo per l’emergenza, in attesa del concorso. Si tratta non solo di qualche miliardo d’incasso subito, che serve come il pane alla zoppicante Legge di stabilità. Soprattutto: meglio è fatta l’istruttoria, più ampia sarà la base imponibile acquista in permanenza d’ora in poi, per i gettiti futuri.
Secondo: è l’intero ordine di priorità degli accertamenti, che va modificato. E su questo il governo si è impegnato molte volte, ribadendo lo stop alle mediatiche operazioni-Cortina per passare invece alla selezione dei campioni accertati incrociando le banche dati e utilizzando i dati bancari. Fa fede, però, quanto scritto dalla Corte dei conti nel suo rendiconto sull’attività dell’Agenzia. Mentre in Italia nel 2013 sono finite nel mirino dell’Agenzia delle Entrate 94 grandi imprese su 100, e 14 mila su 57 mila che fatturano tra i 5 e i 100 milioni, operando cioè controlli fin troppi pressanti, la cosa muta radicalmente sotto quella soglia, che registra circa 6 milioni di posizioni fiscali tra piccole e piccolissime imprese, autonomi e professionisti. In quella fascia, si finisce soprattutto per chiedere in più a chi ha già reddito dichiarato, stressandolo con l’oneroso contenzioso, piuttosto che concentrarsi alla ricerca di chi è al fisco ignoto. Il governo, attuando la delega fiscale, ha per questo reso più snello e meno oneroso il contenzioso. Ha chiesto all’Agenzia delle entrate di rendersi disponibile a interpelli di massa dei contribuenti. Ha alzato, tra mille polemiche, le soglie di punibilita per le dichiarazioni infedeli e l’omesso versamento Iva. Ma la riorganizzazione delle priorità di accertamento dell’Agenzia resta da fare. Insieme alla modifica strutturale degli incentivi a dirigenti e funzionari, che finivano per premiare l’evasione ed elusione contestata appunto al lordo del contenzioso, rispetto ai gettiti aggiuntivi incassati realmente.
E non c’è solo il fronte «domestico». È entrato ormai in fase pre-operativa il progetto Beps (Base erosion and profit shifting) dell’Ocse, per la cooperazione internazionale anti elusione relativa alle grandi imprese transnazionali, contro le quali sono ormai puntate le armi fiscali di tutti i grandi Paesi avanzati. E il G20 ad Antalya in Turchia il 15 e 16 novembre prossimo gli darà la benedizione finale, dopo la definizione della cornice avvenuta a Lima lo scorso 8 ottobre.
L’impegno comunemente assunto in Europa è di tradurlo in una direttiva vigente da inizio 2017. E già dal 2016 l’Agenzia delle entrate dovrà dunque essere in condizione di svolgere l’intera complessa attività necessaria. Un’attività innanzitutto di scambio informativo internazionale, su base bilaterale e multilaterale. Per poi instaurare, secondo le nuove regole comuni, un confronto diretto con le multinazionali che operano nel nostro Paese, volto alla definizione dei prezzi di trasferimento all’interno dei loro perimetri d’impresa. E su questa base infine giungere a una corretta determinazione certa degli imponibili in ogni Paese. Evitando dunque le scontate impugnative a cui si esporrebbero per esempio le varie ipotesi di digital tax sinora avanzate anche in Italia, ipotesi che credono di poter esigere legalmente imposta sulla sola base di un fatturato presunto in Italia. Sono in ballo, anche qui, cifre molto rilevanti, rispetto all’enorme contenzioso riservato sinora inutilmente a centinaia di migliaia di piccoli contribuenti italiani in questi anni. Come si vede, non è in ballo solo la questione della nomina dei nuovi dirigenti. È una nuova Agenzia, quella che serve.