Il Messaggero, 29 ottobre 2015
«Gli uomini preferiscono le bionde. Purché ci stiano». È un breve corso di educazione cinica l’ultimo libro di Roberto Gervaso, “La vita è troppo bella per essere vissuta in due” (Mondadori). Una raffica di aforismi ideati da un cinico impenitente, non privo di una certa melanconia
Cinico. Ma siamo sicuri che sia così cinico Roberto Gervaso? Il suo breve corso di educazione cinica, godibilissimo e intitolato La vita è troppo bella per essere vissuta in due (Mondadori), non ha nulla di rassicurante. E dunque: obiettivo centrato e cattivismo rispettato! Questo libro custodisce però, in mezzo ai motteggi, alle freddure, alle raffiche di aforismi di cui Gervaso è uno dei massimi specialisti (ma Francois de La Rochefoucauld per ammissione dell’autore resta sempre “insuperabile"), un qualcosa di sognante.
POETICA
Contiene una vena poetica sorprendente e un certa malinconia che non riesce ad esaurirsi, come altre volte, nella battuta, nel gioco di parole, nella frustata, nello sparo e suo malgrado (non si preoccupi e non s’offenda Gervaso, non stiamo dicendo che è diventato buono o, peggio, buonista) esce dal contenitore, lo supera e lo surclassa. Fino a produrre immagini che nella loro brevità e secchezza raccontano molto di più di quanto l’autore vorrebbe dire di se stesso. «Ho fatto un sogno così bello, che mi sono chiesto perché esista la realtà». «Ho sognato ad occhi aperti e la realtà me li ha chiusi». «Ho sognato a occhi aperti e mi sono addormentato di soprassalto». «Ho sognato che cavalcavo le nuvole. Si è messo a piovere e sono caduto dal letto». «I ricordi troppo nitidi non ti fanno sognare». E ancora: «Non chiedo più che i sogni si realizzino. Chiedo soltanto di poter continuare a sognare», «Quanti sogni si sono infranti contro gli scogli dell’illusione».
Non era un iper-razionalista Gervaso? Lo è ancora ma questo suo aspetto onirico – “Onirologia” s’intitola uno dei capitoletti di questo corso per cinici – rende il personaggio più complesso nelle sue sfaccettature e dà al suo conclamato cinismo una dimensione più ampia. Anche se lui si sforza – questa la sua grandezza fatta di sprezzatura – di abbassare sempre il volo quando sente il rischio che s’impenni troppo. E lo fa cosi, per esempio: «Stanotte ho sognato di camminare sulle acque. Poi mi sono accorto che era una pozzanghera».
Siamo nel gervasismo puro, in aforismi del tipo: «Vivo al Colosseo davanti alla Domus Aurea di Nerone. Quanto mi mancano i suoi incendi». E quando dice: «Una terza guerra mondiale mi fa meno paura della prossima riunione di condominio». O spara questa: «Se tutti fossero felici saremmo ancora all’età della pietra».
Non c’è futuro che possa essere preferibile al rimpianto del passato. Non c’è presente che regga il passo della decenza e che meriti una considerazione benevola. Il senso della storia alla Gervaso sta in queste convinzioni. Che lui snocciola in colpi magnifici. Uno per tutti: «Meglio antenati che posteri».
Dicevamo del gervasismo puro, e La vita é troppo bella per viverla in due ne è un’enciclopedia, un festival, un gran teatro. Tuttavia il titolo viene in parte corretto dal capitoletto “Vittoria”, dedicato alla moglie, che si chiama così ed è una elegante signora siciliana la quale ha nella pazienza e nell’ironia del sapere stare accanto a Roberto la sua forma di intelligenza.
TRADIRE
Insomma, il cinicone scrive aforismi d’amore per la sua Vitti (é il soprannome) e pure mentre finge di pungerla tradisce l’adorazione che prova per lei. «Anche quando guarda altrove, mia moglie mi capisce con uno sguardo». «Ciò che più mi fa rabbia in Vittoria è la docilità del marito». «Mia moglie può chiedermi qualunque cosa, purché poi non me la faccia fare». «Vittoria dice di me tutto quello che pensa. E pensa di tutto». «Vittoria mi lascia libero di pensare e di dire tutto ciò che vuole». «Vittoria è una donna straordinaria. Finge di non sopportarmi anche quando mi sopporta». È proprio vero. E questa vita vissuta in due, tra due così, a Gervaso piace eccome. Anche se il personaggio non conosce svenevolezze e grazie alla forza della sua ironia può dire di tutto sulle donne. «Gli uomini preferiscono le bionde. Purché ci stiano». «Di una donna mi piacciono pazzamente le gambe. Peccato ne abbia solo due».
Il meglio Gervaso lo dà quando mette in caricatura se stesso nel rapporto con l’altro sesso. «Dopo avermi conosciuto, nessuna donna si è pentita di avermi lasciato». Oppure: «La donna che mi si nega non sa che cosa non si perde». E ancora: «Le donne mi piacerebbero di meno, se io piacessi di più a loro».
LEZIONI
Si potrebbe continuare all’infinito con queste microscopiche lezioni di vita. Ma guai a scambiarle per pillole morali, questo Gervaso non lo accetterebbe mai. Perché rivendica, pur sapendo amare e sognare in forma d’aforismi, la sua appartenenza alla categoria dei cinici impenitenti e verrebbe da dire militanti, se non fosse che i cinici (e gliene rendiamo merito) non militano mai e non conoscono cosa sia l’ideologia.
«Il cinismo non fa sconti a nessuno – avverte Gervaso – neppure ai cinici che lo predicano e lo praticano. Il cinico non ti illude, non ti infonde fallaci speranze. Il cinico sa come andrà a finire, a differenza del fanatico, vittima di chimere, dogmi, pregiudizi». Poi però bisognerà vedere se, alla fine di questo corso di educazione cinica a frequenza libera e a base di materie varie (psicologia femminile, economia, religione, storia, antropologia, storia), il lettore di Gervaso saprà compilare aforismi brucianti come quelli che ha appena cercato di imparare. E il fallimento di questa prova è assicurato. A riprova che il vero cinismo è per pochi. Per sfortuna.