Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2015
La Bce vuole che i risparmiatori italiani non investano più in Bot ma in ponti, non più in Btp bensì in autostrade. Cause e conseguenze dei rendimenti negativi di questi giorni
Il risparmiatore ieri si sarà tenuto ben alla larga dal BoT sub-zero. C’è da augurarselo, perché la compressione dei rendimenti orchestrata dalla Bce mira a questo, a trasferire il risparmio dai BoT ai ponti.
«La diminuzione dei tassi di interesse ha spinto le famiglie a ridurre la quota del portafoglio investita in titoli di Stato e obbligazioni bancarie»: questa la tendenza evidenziata dalla Banca d’Italia nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria. Quel che si augura Jean-Claude Juncker (e come lui tutti i Paesi come l’Italia a caccia di nuovi bacini di liquidità e finanziatori alternativi al credito bancario e alle banche per sostenere la crescita), è che il passo successivo di questo trend veda le famiglie investire – indirettamente – in project bond, mini-bond, cartolarizzazioni. Dai BoT ai ponti, dai BTp alle autostrade, dai CcT alle Pmi, il salto è lungo ma non è un volo pindarico, nel senso che si può e anzi si deve riuscire a tracciare un collegamento diretto tra il risparmio e le infrastrutture.
La prima tappa di questo percorso l’ha fissata la Bce ed è la compressione in atto dei rendimenti. L’asta dei BoT ieri è la prima con rendimento lordo negativo: ma per le tasche degli italiani “nettisti” i Buoni ordinari del Tesoro non rendono nulla da parecchio tempo al netto della ritenuta fiscale del 12,50%. Ieri Assiom-Forex ha calcolato che, tenuto conto della ritenuta e commissioni, il rendimento del nuovo BoT per il risparmiatore è a quota -0,237%: lo strumento è oramai dedicato al mercato monetario all’ingrosso.
I rendimenti sono crollati anche per i BTp (oggi in asta il Tesoro orbiterà su tassi ai minimi storici) e per le obbligazioni bancarie. E il risparmiatore, come nel caso dei BoT, ne ha già diminuita la quota in portafoglio. Le obbligazioni bancarie sono passate da una consistenza di 370 miliardi nel 2010 a 270 miliardi nel 2014 e nel secondo trimestre di quest’anno risultano calate a circa 180 miliardi. Una tappa del percorso dalle obbligazioni bancarie all’economia reale è segnata dall’arrivo del “bail-in” (nel caso di fallimento di una banca, anche il sottoscrittore di bond senior può essere chiamato a pagare parte del conto), al quale il Governatore Visco ha dedicato un ampio tratto del suo discorso ieri. A questo si aggiunge il processo di “deleveraging” che ridimensionerà il ruolo straripante del settore bancario nell’economia, in Europa e Italia, con nuove regole di vigilanza che riducono i rischi e aumentano i requisiti di capitale.
L’altra tappa, in corso di scrittura e proposta dal Piano Juncker, è quella dell’ampliamento del mercato dei capitali per renderlo più adeguato al Pil europeo e italiano: scende il peso dei BoT e aumenta quello di mini-bond, cartolarizzazioni, project bond, fondi di private equity e venture capital. Manca però un’ultima tappa, quella chiave: per traghettare il risparmio delle famiglie dai BoT ai ponti, occorrerà potenziare il ruolo nell’economia degli investitori istituzionali di lungo periodo, quelli che detengono nel mondo 100 mila miliardi di dollari e ne investono l’1% in infrastrutture. Il Piano Juncker spinge per introdurre incentivi e invogliare i fondi pensione e le compagnie di assicurazione a investire in nuovi strumenti. Ma anche il risparmiatore andrà guidato e incentivato a investire meno nel Mattone e trasferire una quota maggiore di risparmi negli strumenti di previdenza integrativa e ramo vita.