la Repubblica, 29 ottobre 2015
In cima ai ghiacci della Groenlandia per misurare a che velocità si sciolgono
SULLA CALOTTA GROENLANDESE.
All’una del mattino, con il sole di mezzanotte che ancora rischiarava l’immensa distesa della calotta glaciale, Brandon Overstreet, dottorando in idrologia dell’Università del Wyoming, si faceva strada attraverso il paesaggio ghiacciato per raggiungere l’argine di un fiume che scorre impetuoso verso un’enorme dolina. Se vi fosse precipitato dentro “sarebbe morto al cento percento”. Il suo compito, che consisteva nella raccolta di dati, è essenziale per comprendere una delle conseguenze più significative del riscaldamento globale. Le informazioni che lui e la sua squadra di sei ricercatori hanno raccolto in questo luogo potrebbero fornire dati importanti sulla velocità dell’innalzamento del livello del mare che il disgelo della calotta glaciale della Groenlandia, una delle distese di ghiaccio più ampie e in più rapida via di scioglimento della Terra, causerà nei decenni a venire. Il suo totale scioglimento potrebbe produrre un aumento del livello dei mari pari a circa sei metri. «Noi scienziati amiamo sedere al computer e basare simili previsioni sui modelli climatici», afferma Laurence C. Smith, direttore del dipartimento di Geografia dell’Università della California, nonché leader del team di ricerca. «Ma per comprendere davvero cosa sta accadendo è necessario eseguire misurazioni empiriche sul campo».
Gli scienziati che studiano l’impatto del riscaldamento del pianeta sulle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide seguono il frantumarsi degli iceberg attraverso le immagini satellitari e simulano il disgelo grazie ai modelli climatici, ma non dispongono di molte informazioni raccolte sul campo e quindi faticano a formulare previsioni accurate sul tasso di innalzamento del livello dei mari. Sanno che il disgelo procede a ritmi sostenuti. Con l’aumentare delle temperature sulla superficie del ghiaccio si formano grandi laghi, che a loro volta creano un reticolato di fiumi. Essendo di recente formazione, spiega Smith, questi «si sciolgono più rapidamente del ghiaccio circostante» per poi confluire in gigantesche cavità nel ghiaccio dette “mulini glaciali” e riversarsi nell’Oceano attraverso tunnel interni alla calotta polare. «La calotta polare è porosa, come un formaggio svizzero», spiega Smith. «Lo abbiamo scoperto questo quest’anno».
La scorsa estate gli scienziati hanno allestito una propria base tra i ghiacci della Groenlandia nella speranza di raccogliere le prime misurazioni esaurienti del tasso di velocità del disgelo. Dalle loro ricerche potrebbero emergere dati preziosi che contribuiranno a prevedere la velocità dell’innalzamento del livello dei mari nel corso del ventunesimo secolo. Il governo Usa spende ogni anno un miliardo di dollari per sostenere le ricerche nell’Artide e nell’Antartide, essenziali per comprendere i cambiamenti che investiranno la popolazione e l’economia mondiale nei prossimi cent’anni. Alcuni leader repubblicani del Congresso però non le vedono di buon occhio. In prima fila tra gli scettici di Capitol Hill figura il texano Lamar Smith, presidente del comitato scientifico della Camera, che ha tentato di tagliare di 300 milioni di dollari i fondi destinati dalla Nasa allo studio delle scienze della terra e ha aperto un’indagine su una cinquantina di borse di studio concesse dalla National Science Foundation. Qualsiasi taglio potrebbe ripercuotersi direttamente sull’operato di Smith e della sua squadra, possibile grazie a uno stanziamento di 778mila dollari per tre anni.
La squadra di Smith è arrivata in luglio a Kangerlussuaq, in Groenlandia: uno scialbo avamposto di 512 anime sulla costa sudoccidentale dell’isola che funge da base per i ricercatori che si accingono a intraprendere ricerche sulla calotta polare. Si sono appostati lungo l’argine ghiacciato di un fiume tumultuoso per effettuare nell’arco di 72 ore misurazioni relative a velocità, volume, temperatura e profondità delle acque.
Dopo 40 minuti di volo, gli scienziati sono stati investiti dal freddo dell’estate groenlandese: durante la loro permanenza sono stati esposti a venti costanti, alla luce abbagliante del sole e a temperature tra i 3,3 e i 40°C. Overstreet e Pitcher hanno iniziato a raccogliere i dati fissando a un cavo sospeso tra le due sponde del fiume una tavoletta computerizzata che a intervalli di un’ora veniva spedita avanti e indietro per misurare profondità, velocità e temperatura delle acque. Le informazioni ottenute serviranno a verificare l’accuratezza dei modelli climatici in uso e potranno essere utilizzate per realizzarne di nuovi e contribuire a formulare le più accurate previsioni mai compiute riguardo al tasso di innalzamento del livello del mare. Gli scienziati hanno misurato il fiume ininterrottamente per tre giorni e tre notti, mentre riversava sino a 1600 litri di acqua al minuto nel mulino. L’ultima mattina la squadra, stanca ma euforica, si è raccolta nei pressi del fiume per assistere all’ultimo viaggio della tavoletta. «È difficile scegliere di partecipare a progetti simili, ma tutto ciò che ho fatto sino ad oggi nella mia vita mi ha preparato a questa esperienza», ha dichiarato Overstreet. «E mentre prima vedevamo il fiume come un nemico, adesso traiamo da esso delle informazioni importantissime».
Gli scienziati che studiano l’impatto del riscaldamento del pianeta sulle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide seguono il frantumarsi degli iceberg attraverso le immagini satellitari e simulano il disgelo grazie ai modelli climatici, ma non dispongono di molte informazioni raccolte sul campo e quindi faticano a formulare previsioni accurate sul tasso di innalzamento del livello dei mari. Sanno che il disgelo procede a ritmi sostenuti. Con l’aumentare delle temperature sulla superficie del ghiaccio si formano grandi laghi, che a loro volta creano un reticolato di fiumi. Essendo di recente formazione, spiega Smith, questi «si sciolgono più rapidamente del ghiaccio circostante» per poi confluire in gigantesche cavità nel ghiaccio dette “mulini glaciali” e riversarsi nell’Oceano attraverso tunnel interni alla calotta polare. «La calotta polare è porosa, come un formaggio svizzero», spiega Smith. «Lo abbiamo scoperto questo quest’anno».
La scorsa estate gli scienziati hanno allestito una propria base tra i ghiacci della Groenlandia nella speranza di raccogliere le prime misurazioni esaurienti del tasso di velocità del disgelo. Dalle loro ricerche potrebbero emergere dati preziosi che contribuiranno a prevedere la velocità dell’innalzamento del livello dei mari nel corso del ventunesimo secolo. Il governo Usa spende ogni anno un miliardo di dollari per sostenere le ricerche nell’Artide e nell’Antartide, essenziali per comprendere i cambiamenti che investiranno la popolazione e l’economia mondiale nei prossimi cent’anni. Alcuni leader repubblicani del Congresso però non le vedono di buon occhio. In prima fila tra gli scettici di Capitol Hill figura il texano Lamar Smith, presidente del comitato scientifico della Camera, che ha tentato di tagliare di 300 milioni di dollari i fondi destinati dalla Nasa allo studio delle scienze della terra e ha aperto un’indagine su una cinquantina di borse di studio concesse dalla National Science Foundation. Qualsiasi taglio potrebbe ripercuotersi direttamente sull’operato di Smith e della sua squadra, possibile grazie a uno stanziamento di 778mila dollari per tre anni.
La squadra di Smith è arrivata in luglio a Kangerlussuaq, in Groenlandia: uno scialbo avamposto di 512 anime sulla costa sudoccidentale dell’isola che funge da base per i ricercatori che si accingono a intraprendere ricerche sulla calotta polare. Si sono appostati lungo l’argine ghiacciato di un fiume tumultuoso per effettuare nell’arco di 72 ore misurazioni relative a velocità, volume, temperatura e profondità delle acque.
Dopo 40 minuti di volo, gli scienziati sono stati investiti dal freddo dell’estate groenlandese: durante la loro permanenza sono stati esposti a venti costanti, alla luce abbagliante del sole e a temperature tra i 3,3 e i 40°C. Overstreet e Pitcher hanno iniziato a raccogliere i dati fissando a un cavo sospeso tra le due sponde del fiume una tavoletta computerizzata che a intervalli di un’ora veniva spedita avanti e indietro per misurare profondità, velocità e temperatura delle acque. Le informazioni ottenute serviranno a verificare l’accuratezza dei modelli climatici in uso e potranno essere utilizzate per realizzarne di nuovi e contribuire a formulare le più accurate previsioni mai compiute riguardo al tasso di innalzamento del livello del mare. Gli scienziati hanno misurato il fiume ininterrottamente per tre giorni e tre notti, mentre riversava sino a 1600 litri di acqua al minuto nel mulino. L’ultima mattina la squadra, stanca ma euforica, si è raccolta nei pressi del fiume per assistere all’ultimo viaggio della tavoletta. «È difficile scegliere di partecipare a progetti simili, ma tutto ciò che ho fatto sino ad oggi nella mia vita mi ha preparato a questa esperienza», ha dichiarato Overstreet. «E mentre prima vedevamo il fiume come un nemico, adesso traiamo da esso delle informazioni importantissime».
Coral Davenport, Josh Haner, Larry Buchanan e Derek Watkins