la Repubblica, 29 ottobre 2015
Le cinque mosse Volkswagen per uscire dalla crisi
ROMA. Una strategia in cinque punti per uscire dall’angolo e «tornare ad essere tra i principali costruttori al mondo». Così ha detto ieri ai vertici di Wolsburg Matthias Mueller, l’uomo che oggi siede sulla poltrona più scomoda dell’intero mondo dell’auto. Mueller è molto prudente. Solo il 30 giugno scorso Volkswagen festeggiava il primato mondiale nei primi sei mesi 2015. Oggi spera di cavarsela. Ma a un mese dall’esplodere dello scandalo dei test truccati, una strategia comincia a intravedersi ed è su quella che la casa tedesca punterà «per riguadagnare la fiducia dei clienti», come si legge nelle pagine pubblicitarie a pagamento uscite sui giornali. Una parte della ricetta contro gli effetti del dieselgate l’abbiamo già vista applicata in queste settimane. Prima regola: tacere, non reagire ad alcuna polemica. I pronunciamenti ufficiali di Wolsburg si contano sulle dita di una mano. Tendono a rassicurare ma non forniscono date certe per i richiami delle auto coinvolte. Per due ragioni. La prima è emersa due giorni fa: i tecnici dovranno lavorare a circa 10.000 diverse configurazioni per intervenire con successo a causa dell’ampio numero di varianti del propulsore Euro 5 con la sigla EA 189. Differenze che riguardano le cilindrate (2,0 come 1,6 e 1,2 litri), le trasmissioni del cambio (automatico, 5 o 6 marce) e i vari brand del gruppo, fino all’anno di produzione dei modelli. C’è poi una motivazione psicologica per il rinvio delle riparazioni: evitare l’assalto dei clienti ai concessionari a ridosso dello scandalo, quando l’emotività prende il sopravvento.
La seconda regola della ricetta anticrisi è stata quella di individuare una linea del Piave al di qua della quale non arretrare. Questa è stata individuata nella rassicurazione: «I motori Volkswagen euro 6 non hanno il software sotto inchiesta». Dunque sono puliti, dunque acquistabili. Così si è potuto limitare in Italia a soli 1.300 i casi di auto euro 5 chilometro zero da bloccare nei concessionari.
Terza regola: trovare un brand parafulmine per salvare gli altri. Inevitabilmente la scelta è caduta su Volkswagen. Per due motivi: il primo è che la maggior dei veicoli coinvolti nello scandalo appartiene al marchio. Il secondo è che il brand Volkswagen è quello che dà il nome all’interno gruppo. Così solo ultimamente sono riprese le pubblicità sul brand Vw mentre quelle degli altri (a partire da Audi) erano ritornate quasi subito in tv e sui giornali.
La quarta regola messa in campo in queste settimane è stata quella di azzerare i vertici per dare il segnale della svolta. A partire proprio da quel Martin Winterkorn, ad potentissimo e appena reduce da uno scontro vittorioso con Ferdinand Piech. È stato lui il primo a saltare, il 23 settembre, appena due giorni dopo l’inizio del Dieselgate. Al suo posto è salito Matthias Mueller, presidente della Porsche e da sempre uomo di fiducia dello stesso Piech. A seguire altri dirigenti sono stati messi da parte. Come il capo della comunicazione Stephan Gruehsem sostituito da Hans Gerd Bode, fino a quel momento portavoce di Porsche. Poi sono saltati i due ingegneri, Ulrich Hackenberg, capo del team Audi, e Wolfgang Hatz, l’ideatore dei motori vincenti della Porsche. Il 21 ottobre i manager sospesi diventano cinque. Ma l’epurazione continua. Secondo la stampa tedesca, Volkswagen avrebbe sospeso nei giorni scorsi Hanno Jelden, sinora a capo della Powertrain Tecnologies, sospettato di avere riprogrammato il software della centralina incriminata.
Ora resta da affrontare la seconda parte della strategia di risalita. Si capisce che in queste settimane a Wolfsburg si sta lavorando per sciogliere due nodi. Il primo è quello dell’inquinamento prodotto dai motori truccati per i test. La quantità reale di emissioni è tale da dover rivedere in Europa la classe di appartenenza (Euro 4,5,6)? Se non lo è si possono modificare le centraline senza incidere sulle prestazioni. In caso contrario si tratterà di ridurre le emissioni riducendo le prestazioni ed esponendosi ai reclami dei clienti. Il secondo nodo da sciogliere è quello di definire quali interventi realizzare sulle auto dei clienti e quando effettuarli.
La strada da percorrere è dunque molto lunga e in salita. Tra tutte le strategie, quella che riassume tutte le altre è stata suggerita dal sindacato interno: «Gli errori non devono essere nascosti sotto il tappeto».