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 2015  ottobre 29 Giovedì calendario

Il re «viziatore di vergini» e le poesie «assai licenziose» di Manzoni: le Note Azzurre e le verità scapigliate di Carlo Dossi manipolate da Giorgio Dell’Arti in un volume intitolato Corruzioni (Clichy)

Vergini, draghi e scenari contemporanei: «Si dice che una contessa di Udine, immiserita per la sua prodigalità, abbia prostituito una sua figlia di 13 anni a quel re viziatore di vergini che ha nome V. Emanuele. Sta il fatto che la contessa oggidì spende e spande – e trae in carrozza la sua infamia per pubblici passeggi…». Ignoranze disvelate: «Rattazzi, al tempo de’ suoi ultimi ministeri, si vantava di non aver letto da trent’anni alcun libro…». Compositori irrisi: «Aida di Verdi, opera, a mio avviso, pomposamente meschina. Vi si sente solo il maestro che conosce mirabilmente il suo mestiere e sa fabbricare il bello commerciale. Non un lampo però di sublime…». Dubbi identitari: «Udii accusare Manzoni di pederastia, quando era giovane e avrebbe avuto per compagno di vizio il Bernardino Righetti zio di Cletto Arrighi. Certo è che Manzoni scrisse in gioventù poesie assai licenziose…». Alle Note Azzurre e alle verità scapigliate di Carlo Dossi – letterato, politico, economo e diplomatico dalla biografia romanzesca, spostato come un pacco a seconda dei venti e dei favori del palazzo tra Bogotà e Atene durante un quarantennio di italico Regno tra fine ’800 e inizio ’900 – ha dato nuova vita, manipolandole in un volume intitolato Corruzioni, Giorgio Dell’Arti.
Una summa, un breviario, una scelta accurata e un tuffo nelle parole più acuminate di Dossi che la casa editrice Clichy ora riedita restituendo un timbro personale a ciò che in altre occasioni aveva già visto la luce avventurosamente. Riviste, commentate e impreziosite da Dell’Arti, le note di Carlo Dossi, censurate e nascoste inizialmente in un granaio a Corbetta, vennero pubblicate da Adelphi in due distinte edizioni dopo una prima bocciatura datata 1956. La prima uscita adelphiana, quella del 1964, è piena di asterischi e di omissioni. La seconda, finalmente senza più segreti di Stato e libera dalla pruderie, arriva solo nel 2010, a 46 anni di distanza. Nel libro di Dell’Arti, le “corruzioni” della parola originaria confinano con le ataviche decomposizioni di senso e di pudore che salvo rare eccezioni hanno accompagnato l’azione di governo a queste latitudini.
I tradimenti ministeriali e quelli di lenzuolo riflettono inattese aderenze e sorprendenti similarità con l’Italia di oggi. Dentro, in uno stile personale, come nelle peregrinazioni arbasiniane, ci sono tutti, soprattutto quelli che avrebbero voluto essere altrove. I fratelli d’Italia di Dossi hanno i vizi che conosciamo: sono vanagloriosi, alteri, spudorati. Dettano morali ammantate di rigore e ne santificano altre, più viziose, all’ombra del ruolo pubblico e della retorica necessaria a incarnarlo. In Corruzioni cambiano i nomi, le circostanze e gli scenari, ma non la potenza di una descrizione, di un apologo o di un’osservazione.
Dante Isella, il filologo che più di ogni altro si batté per fare conoscere lo straordinario lavoro di Dossi, sintetizzò la sua opera definendo i graffi come «pensieri di un libertino dell’Ottocento». Un uomo convinto, Carlo Dossi, che «il bacio della donna che ama, morda» e che tra un aneddoto e l’altro, dotato di «un’intelligenza singolarissima», si trovava a sopportarne il peso in «un sofferto e nostalgico isolamento». In Corruzioni, tra una fiamma, un incendio letterario e una passione, si bruciano reputazioni servendosi – se è il caso – anche del particolare vietato ai minori. Coronato, ma ripugnante: «Vittorio Emanuele fu uno dei più illustri chiavatori contemporanei. Il suo budget segnava nella rubrica donne circa un milione e mezzo all’anno mentre nella rubrica cibo non più di 600 lire al mese. A volte di notte, svegliavasi di soprassalto, chiamava l’aiutante di servizio, gridando “una fumna, una fumna!” e l’aiutante doveva girare i casini della città… Possedeva un membro virile così grosso e lungo che squarciava le donne più larghe. Con lui molte puttane riprovavano gli spasimi dello sverginamento. Il suo dottore di Corte avea un gran da fare a riaccomodare uteri spostati… Una notte una signora.. nel lavarsi e nel cercare di torsi, dopo il coito, la tutelare spugnetta (ché S. M. di solito ingravidava) non se la trovò più. Spaventata, si diede a piangere, e ignorante di anatomia, disse al Re che la spugnetta le era entrata nel ventre…».
E pare di vederlo ancora, Dossi, con i suoi tormenti e la sua ilare malinconia, chino sui vizi del Re a riempire uno dei suoi 16 quaderni. A scrivere, constatare e valutare perché «l’arte non imita, interpreta» e «il sorriso è alla bellezza, quello che è il sale alle vivande».