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 2015  ottobre 29 Giovedì calendario

L’Italia è entrata nel club dei paesi forti, quelli che applicano un tasso negativo a chi presta loro denaro

È almeno dal 1994 che l’Italia voleva entrare in questo club. In quell’anno, mentre tutti erano ipnotizzati dall’inedita sfida fra Achille Occhetto e Silvio Berlusconi, all’improvviso due politici tedeschi di nome Karl Lamers e Wolfgang Schäuble pubblicarono un documento che infiammò e indignò l’intero Paese: i due, all’epoca consiglieri del cancelliere Helmut Kohl, proponevano un’Europa del «nucleo duro». Gli Stati del Mediterraneo ne sarebbero rimasti per il momento esclusi.
Quel lungo momento in questi giorni è passato, almeno in base ai numeri e almeno per ora. Ieri il Tesoro ha venduto sul mercato Buoni ordinari con rendimento negativo dello 0,055%, se tenuti fino alla scadenza fra sei mesi. Il giorno prima aveva assegnato titoli senza cedola per 1,75 miliardi, sempre a un interesse negativo dello 0,023% per chi li conservi fino alla fine del percorso fra due anni. Significa che oggi per la prima volta nella storia sul mercato si trovano grandi investitori disposti a perdere soldi, pur di prestarli a un fragile debitore da quasi 2.200 miliardi di euro come la Repubblica italiana.
È in questo senso che oggi il Paese è entrato a suo modo nel «nucleo duro» d’Europa. Si unisce a un club composto da Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Malta e Olanda per i quali gli investitori sono pronti a pagare, pur di far credito su un orizzonte di 24 mesi. È il club dei tassi negativi, al quale ieri a fine pomeriggio per un soffio non si era unita anche la Spagna: i Bonos biennali rendevano appena lo 0,001%. Per la Francia funziona al rovescio persino il titolo a tre anni, e questo anomalo fenomeno si diffonde su scadenze sempre più in là nel tempo man mano che ci si avvicina al «cuore» tedesco dell’area monetaria. In Europa esiste debito sovrano per centinaia di miliardi di euro che funziona come una tassa, anziché come un titolo che promette un guadagno sul capitale investito. La sola differenza è che questa è una tassa volontaria. Il creditore sceglie liberamente di sobbarcarsela perché pensa che qualunque altra soluzione sarebbe peggiore.
Tutto ciò ricorda un’analisi di Groucho Marx, quando qualcuno chiese all’85enne comico newyorkese che effetto fa invecchiare: «Sempre meglio dell’alternativa», disse. Oggi anche molti investitori in titoli di Stato la pensano così. L’alternativa attuale per centinaia di istituti di credito nell’area euro sarebbe tenere centinaia di miliardi fermi dentro i propri conti presso la Banca centrale europea e pagare per questo una tassa ancor più elevata. In tempi normali, la Bce riconosceva un interesse positivo su quei conti correnti. All’inizio di quest’anno invece ha portato il «tasso sui depositi» (quello praticato sulle banche che parcheggiano la liquidità a Francoforte) fino a quota meno 0,20%. Per Deutsche Bank, Unicredit o Santander tenere fermo il denaro presso la banca centrale costa caro, e in futuro probabilmente ancora di più. Sei giorni fa il presidente Mario Draghi ha lasciato capire che in dicembre la Bce potrebbe ridurre ulteriormente il tasso sui depositi e ha rimosso qualsiasi «pavimento»: non esiste più un livello sotto il quale i tassi sui depositi non possono scendere.
Per questo a una banca conviene sempre di più investire su un titolo di Stato italiano, così diffuso e abbondante sul mercato da essere oggi quasi l’equivalente di denaro liquido sotto un’altra forma. Se tiene un buono del Tesoro di Roma fino alla scadenza fra un anno, quella banca oggi perderà solo lo 0,035%. Se invece conserva lo stesso denaro immobile presso la Bce, perderà lo 0,20% e probabilmente in futuro lo 0,30 o anche di più. D’altra parte l’inflazione è così bassa che anche questo tipo di rendimenti sotto zero non erode davvero il potere d’acquisto del denaro. Non solo: anche con rendimenti negativi alla scadenza, i prezzi dei titoli di Stato salgono man mano che questi diventano più ambiti dalle banche perché la Bce sta aumentando la sua «tassa» sui loro depositi. Comprare e vendere nei momenti giusti può anche generare una forte plusvalenza.
Funziona così il mondo al rovescio nel quale l’Europa e da ieri l’Italia vivono dopo la Grande crisi. I tassi d’interesse non sono più la spia della solidità del debitore, ma dello strapotere della banca centrale su tutto. La sua azione anestetizza e confonde debitori forti e deboli, sostiene il credito rendendolo meno caro, svaluta l’euro aiutando l’export. A qualcuno ricorderà la grande ibernazione del Giappone dopo la bolla degli anni ‘80: le banche immobili e piene di crediti in default, il debito pubblico gigantesco ma a tassi a zero, la crescita lenta. Forse però davvero è piuttosto l’economia del vecchio Groucho Marx: sempre meglio dell’alternativa.