Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 29 Giovedì calendario

Inutile vertice tra Marino e Orfini in casa del vicesindaco Causi. Forse oggi il ritiro delle dimissioni

ROMA La crisi politica del Campidoglio, che Marino voleva fosse «istituzionalizzata» in assemblea capitolina, si consuma invece in una casa privata, un palazzotto signorile nella zona Ostiense, una ex fabbrica che l’allora giunta Veltroni riqualificò. Lì, al quarto piano, un attico con terrazza, abita il vicesindaco di Roma (e deputato dem) Marco Causi, tessitore dell’ultimo tentativo di mediazione: mettere intorno a un tavolino Ignazio Marino e Matteo Orfini, che non si parlavano più da giorni, e risolvere così la questione che sta bloccando la Capitale. Il risultato, dopo oltre cinque ore di confronto, è però una nuova fumata nera: «Ci siamo lasciati come ci siamo trovati. Umanamente rapporti recuperati, ma politicamente siamo molto distanti», fa trapelare Marino. E quindi il sindaco «continua a riflettere e a pensare di ritirare le sue dimissioni». Lo farà oggi? Nel Pd, ora sono pressoché sicuri che il ritiro «accadrà entro domenica» o che comunque «Marino andrà in aula: capirà che non c’è più una maggioranza», da dimissionario oppure no. Convocazione che potrebbe essere per domani o sabato. Causi ci spera ancora: «La soluzione non c’è, ma abbiamo aperto un dialogo». Con qualche momento conviviale: «Abbiamo bevuto un ottimo Chardonnay delle Langhe e ora mangiamo un piatto di spaghetti con le sarde alla palermitana», ha scherzato Causi all’uscita. Battuta magari inopportuna, data la delicatezza della situazione e visto che proprio su vini e pasti il sindaco è finito sotto accusa. Marino va via scuro in volto, senza cena, e glissa: «È andata benissimo, sto riflettendo».
Con il padrone di casa, gli assessori Stefano Esposito (orfiniano) e Alfonso Sabella, l’uomo su cui Marino si è a lungo appoggiato in giunta e che ora lo ha mollato. Con Marino, invece, ciò che rimane del suo «cerchio magico»: Alessandra Cattoi e Roberto Tricarico. Vertice teso, nervoso. Marino ha continuato a ripetere: «Non capisco perché è finita». E gli altri a ribadirgli: «Non ci sono più le condizioni politiche per andare avanti». Nei giorni scorsi erano circolate ipotesi per un’uscita «soft»: una dichiarazione pubblica e un incarico nel campo scientifico, in un istituto di ricerca, oppure al ministero della Salute.
In cambio, Marino doveva accettare un’uscita dal Campidoglio «ordinata», senza strappi: dimissioni confermate, nessun passaggio in aula Giulio Cesare. Ipotesi che Marino, ormai con le spalle al muro (se ritirasse le dimissioni, andando allo scontro, il Pd potrebbe comunque «staccargli la spina»), ha soppesato a lungo. Anche se, da entrambi gli «schieramenti», sottolineano come ieri «non si sia parlato di posti».
Il vero problema è che, ormai, nessuno si fida più di nessuno. Orfini e gli altri sono disposti a concedere «l’onore delle armi» al sindaco solo dopo il 2 novembre. Marino vorrebbe tutto subito, prima delle eventuali elezioni comunali. Così si è andati avanti per ore, in attesa che Renzi si pronunciasse da Cuba. Il premier, però, si è limitato a dire: «La posizione del Pd è autorevolmente espressa da Orfini a cui va il mio totale sostegno». È stato come calare una scure. Al contrario Pier Luigi Bersani si era mostrato ottimista: «Abbiamo avuto anche altre esperienze drammatiche ma in passato abbiamo sempre risolto chiudendoci dentro una stanza e, magari anche litigando, uscendo sempre con una soluzione». Con Marino, però, neppure questo è servito.