Il Messaggero, 28 ottobre 2015
Farsa Capitale, tutti contro Orfini. A Roma i 19 consiglieri comunali del Pd ragionano in ordine sparso sulla possibile sfiducia a Marino, badando più alla propria poltrona che alle direttive del commissario straordinario. Parola d’ordine: «Boh!»
Il «Che fare di Lenin?» non lo hanno letto. Ma anche se lo avessero compulsato, magari in gioventù, prima di diventare post-comunisti, adesso proprio non sanno che fare. Sono i 19 consiglieri dem che Matteo Orfini credeva di aver catechizzato sull’abbattimento di Marino, loro gli hanno fatto credere di avere le idee chiare e di voler ubbidire al partito e invece: «Boh!», è la parola d’ordine di questo gruppone, di questo mischione allo sbaraglio, di queste anime in preda all’horror vacui di fronte alla nuova sfida del sindaco che ritira le dimissioni. «E noi che cosa facciamo? Boh», va dicendo il consigliere Orlando Corsetti, uno dei 19 su cui Orfini scommette («Tutto risolto») e su cui l’assessore Esposito assicura («Orfini sarà capace di farli muovere in maniera compatta») e invece così non appare affatto. Malumori, psicodramma, dubbi su dubbi: dimettersi? Sfiduciare Ignazio? Mischiarsi o non mischiarsi con la destra di Mafia Capitale («Mai con loro!», grida il capogruppo Fabrizio Panecaldo) e se dimissioni saranno a che cosa serviranno se arrivano i sostituti e tutto viene vanificato? Corsetti sostiene: «La verità è che, tra di noi, ognuno la pensa a modo proprio. E ci sono quelli che vogliono restare attaccati alla poltrona perchè sanno che non saranno ricandidati».
SENZA PATRIA Si sentono senza patria i 19. Orfini non li riesce a controllare. Panecaldo neppure. Renzi qualcuno vorrebbe raggiungerlo tramite qualche messaggero (per rivolgergli suppliche del tipo: «Parla tu e dacci una linea vera») ma i tentativi vanno a vuoto. Ed ecco Athos De Luca, poverino, sta in ospedale in queste ore cruciali. Molti dei 19 lo chiamano e gli chiedono: «Che fare?». E lui: «Ditemi voi». «Noi? E tu?». «Boh». «Boh». Dialoghi così, da surrealismo de’ noantri, da teatro dell’assurdo e del resto la commedia del sindaco detronizzato ma renitente allo sfratto qualcuno la paragona, in minuscolo e in meno divertente, alla «Pazzia di re Giorgio» scritta per Adelphi da Alan Bennet. O addirittura all’«Enrico IV» di Luigi Pirandello in cui si narra del protagonista che, dopo una mascherata, inciampando si convince di vivere la vita e il destino del sovrano la cui corona ha indossato per burla.
CORRENTI
Appartengono a correnti di partito diverse i 19 e questo conta nella carenza di compattezza nella linea di condotta. Ci sono gli orfiniani doc come Giulia Tempesta, gli orfiniani meno doc come Gianni Paris, Micaela Di Biase che tuonò più forte di tutti contro Marino durante lo scandalo della Panda Rossa, gli ex orfinidi mezzo marinisti come Erica Battaglia, i margheritici e gli zingarettiani, quello eletto con i voti di Di Stefano – deputato ex consigliere regionale finito inquisito – che sarebbe Antonio Stampete e via così. Trovare un’ordine e una logica in questo guazzabuglio? Ma figuriamoci. Il consigliere Nanni, mariniano, è disperato. Non vorrebbe mollare Marino e chiede agli altri: «E dopo che lo abbiamo sfiduciato che cosa facciamo?». Che è come dire con un singhiozzo: che sarà di noi? La Tempesta, la Baglio e Fannuzza: «Facciamo quello che dice Orfini». E diversi di loro obiettano: «Ma il grande errore è stato proprio mettere la vicenda nelle mani di Orfini. Non ne ha azzeccata una!». La Tempesta cerca di restare calma ma è una parola: «Aspettiamo le mosse di Marino». Il quale le mosse, disperate, le fa. E loro?