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 2015  ottobre 28 Mercoledì calendario

Grazie alle riforme e a Expo 2015, l’Italia sta finalmente recuperando il favore degli investitori europei e internazionali. Per continuare il rilancio occorre però non sprecare l’ottima occasione attuale: se la Commissione europea approverà i nostri investimenti in deficit, potremo disporre di 11,3 miliardi di euro da investire in un grande e strategico piano di infrastrutture. Corporazioni e clientele nazionali permettendo

Il Governo ha varato il disegno di legge di stabilità (Dls) 2016 che è approdato al Senato e ha inviato il Documento programmatico di bilancio (Dpb) alla Commissione Europea. Il Dls e il Dpb sono le due facce di una medaglia essendo il primo un testo legislativo e il secondo un elaborato economico-finanziario. Su questi documenti il Governo discuterà nei prossimi due mesi con il Parlamento italiano e con la Commissione europea. Sono interlocutori che hanno criteri di valutazione e interessi diversi tra loro.
Nel Parlamento si materializzano spesso interessi settoriali e partitici. La Commissione europea valuterà la coerenza con i parametri europei di finanza pubblica e con le raccomandazioni rivolte in giugno all’Italia e terrà in conto, se regge l’impostazione Juncker, anche la spinta agli investimenti. L’Italia dopo tanti anni parte bene, anche per il favore degli investitori europei e internazionali. Importante è che non sprechi l’occasione.
L’interesse italiano. Il 2016 sarà infatti un anno cruciale per l’Italia che nelle previsioni crescerà come la Germania e più della Francia. È un buon risultato ma si può fare di più perché se le riforme continuano un rilancio ulteriore è possibile fino a collocarci negli anni a venire al secondo posto in Europa a pari merito con la Francia.
Ci vuole però più convincimento sul ruolo europeo (e internazionale) dell’Italia. Bene ha fatto perciò il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a valorizzare, anche su queste colonne, il successo sistemico (e cioè istituzionale, sociale ed economico) di Expo 2015 e di quella Milano europea che è laboratorio civile e opificio imprenditoriale. L’onda favorevole di Expo 2015 e dell’Italia si vede anche nel viaggio che il Presidente del Consiglio Renzi sta facendo in Sud America accompagnato da molti imprenditori. Analoga attenzione verso l’Italia è emersa anche nel recente Forum Internazionale dei fondi sovrani promosso dal Fondo Strategico italiano di Cdp.
Con il 2016 deve però iniziare una nuova strategia per gli investimenti esteri perché non basta vendere (e privatizzare) in quanto vi è una netta distinzione tra l’acquisizione di nostre aziende, l’insediamento o il potenziamento di aziende già esistenti, la compartecipazione alla costruzione di infrastrutture in Italia.
Importante al proposito è la recente dichiarazione del presidente della Banca europea degli investimenti (Bei) Werner Hoyer. Reduce dall’incontro milanese del “Long-term investors Club” (di cui Cdp è stata cofondatrice nel 2009 e che oggi raggruppa 18 istituzioni finanziarie dei Paesi del G 20 per un patrimonio totale di 5.400 miliardi di dollari) Hoyer ha espresso forte apprezzamento per le riforme in corso in Italia. Per questo la Bei intende investire di più nel nostro Paese specie in attuazione del Piano Juncker ed in collaborazione con la Cdp ormai istituzionalizzata come National Promotional Bank sia dal Dls che dalla Commissione europea. Su questa strategia degli investimenti di lungo termine e sulle opportunità di attrarre investitori in Italia Franco Bassanini ed Edoardo Reviglio sono stati degli anticipatori riconosciuti a livello europeo ed internazionale.
Le compatibilità europee. Sulla direttrice degli investimenti bene ha fatto il Governo a chiedere alla Commissione una flessibilità di bilancio quantificandola in uno scostamento del deficit pari allo 0,3% del Pil per i finanziamenti nazionali degli investimenti cofinanziati da risorse della Ue.
Due sono le ragioni che sostengono questa richiesta. La prima è che il Governo ha dimostrato di rispettare tutte le condizioni poste dalla normativa nell’anno di applicazione della deroga. E cioè: un deficit strutturale non superiore all’1,5% del Pil (le stime ufficiali lo danno per l’Italia nel 2016 tra lo 0,7% e lo 0,8%); condizioni cicliche sfavorevoli date da un output gap più ampio di -1,5% del potenziale (le stime ufficiali lo danno tra il -2% e il -2,5%); la non sostituzione di investimenti finanziati con risorse nazionali con quelle di fonti europee. La seconda condizione è che gli investimenti italiani finanziati in deficit e cofinanziati su fondi europei attivano una quota supplementare di investimenti nazionali contribuendo ad un aumento significativo del Pil già dal 2016 e negli anni successivi in tal modo facilitando la sostenibilità delle finanza pubbliche nel tempo. Il clima in Ue sta cambiando come dimostra anche l’intervento di Juncker a favore della flessibilità per la «clausola migranti».
La concretezza dell’investire. Eppure in Italia c’è chi critica questa operazione in deficit trascurando il fatto che, superato il vaglio della Commissione, potremmo disporre di 11,3 miliardi di euro di cui 5,150 miliardi nazionali e 6,2 miliardi di cofinanziamento europeo per realizzare un grande piano di infrastrutture materiali ed immateriali di cui circa 7 miliardi dovrebbero coinvolgere il Mezzogiorno. Il Governo e in particolare il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Claudio De Vincenti hanno lavorato molto bene su vari fronti tra cui ne citiamo due.
Il primo per calibrare i finanziamenti totali sui progetti e i programmi dei singoli ministeri in 12 categorie: trasporti e reti infrastrutturali 3,1 miliardi, agenda digitale 1,67; competitività Pmi 1,3, occupazione e mobilità lavoro 1,28, istruzione 0,75, ricerca e innovazione 0,65, energia ed efficienza energetica 0,6, protezione dell’ambiente e prevenzione rischi 0,6, inclusione sociale 0,5, infrastrutture sociali 0,35, turismo e cultura 0,35, rafforzamento capacità istituzionale 0,15.
Il secondo per dimostrare alla Commissione che la richiesta di flessibilità dello 0,3% riguarda progetti di investimento in linea con la strategia europea 2020 e con le raccomandazioni europee specifiche per l’Italia.
È in corso adesso un processo per velocizzare la realizzazione degli investimenti superando le strozzature che spesso bloccano in Italia le opere. Speriamo che le spinte settoriali, territoriali, corporative, che spesso compaiono anche nel varo della legge di stabilità e dalle quali in passato sono derivati danni alla crescita e all’occupazione, non prevalgano sull’interesse nazionale.