Avvenire, 28 ottobre 2015
Nba, Nfl, baseball, hockey: quanto sono bravi gli americani a fare business con lo sport. Un campionato comincia, un altro finisce. Potere delle tv e del coordinamento
La prima palla a due della stagione è stata alzata ieri notte allo United Center di Chicago. L’arena teatro delle gesta di Michael Jordan ha battezzato il campionato Nba con la sfida tra due franchigie che si contenderanno lo scettro della Eastern Conference: i Chicago Bulls e i Cleveland Cavaliers di LeBron James. Due ore più tardi i detentori del titolo Nba, i Golden State Warriors, hanno ricevuto l’anello tra le mura amiche della Oracle Arena, prima di sfidare i New Orleans Pelicans.
Fino a giugno terrà banco un campionato lunghissimo, fatto di 1.230 partite di regular season più le sfide senza appello dei playoff. È il bello del basket a stelle e strisce, uno show continuo senza pause. Col circoletto rosso sono da segnare le tre sortite oltre confine: il 3 dicembre i Sacramento Kings di Marco Belinelli affronteranno Boston a Città del Messico; il 14 gennaio Toronto sfiderà Orlando a Londra. Come da tradizione, le partite più importanti andranno in scena nei giorni in cui la gente è a casa davanti alla tv: a Natale e a Capodanno. Il 25 dicembre sarà la volta di Golden State-Cleveland, rivincita delle Finals 2015, mentre il 31 dicembre toccherà a Houston-Golden State, rivincita della finale della Western Conference.
Negli States sono attenti a gestire lo spettacolo e gli interessi economici derivanti dallo sport. Un campionato comincia, un altro finisce. Potere delle tv e del coordinamento tra le leghe sportive americane, ognuna delle quali è riuscita a strapparsi un periodo preciso in cui celebrare la finale senza sovrapposizioni con altri eventi. Così la fine di ottobre è tempo di World Series, l’atto conclusivo della Mlb, la lega del baseball. A contendersi il trono saranno i New York Mets e i Kansas City Royals, che fino al 4 novembre manderanno in scena una saga in sette puntate. La squadra meno blasonata della Grande Mela, tornata in finale dopo quindici anni, contenderà il trono alla franchigia che, a dispetto del nome, ha sede in Missouri e non in Kansas. Lo scorso anno i Royals portarono a gara-7 San Francisco, ma sul più bello si arresero ai Giants. Stavolta sono intenzionati a cambiare registro in una finale dal sapore storico: per la prima volta dal 1902 le World Series non si disputeranno tra due squadre fon- datrici della Mlb. In dicembre sotto i riflettori finirà il calcio, o meglio il soccer come viene definita l’arte del pallone sul territorio yankee. Delle cinque serie professionistiche statunitensi – tutte accomunate dal concetto di lega chiusa, ossia senza il meccanismo di promozioni e retrocessioni – quella calcistica, la Mls, è la più giovane: è stata fondata nel 1993, l’anno prima del Mondiale a stelle e strisce. In un Paese conservatore sul piano dei gusti sportivi il calcio non sfonda e neanche la presenza di star provenienti dall’Europa ha aumentato l’appeal di una disciplina che in America è più famosa tra le donne che tra gli uomini: le tre Coppe del Mondo in rosa conquistate dagli States non sono un caso. La finale del campionato maschile andrà in scena in gara secca il 6 dicembre, in un avvenimento lontanissimo parente del Superbowl.
Il football, infatti, è lo sport più seguito sia in tv che dal vivo. In una ripartizione stagionale studiata nel dettaglio, la Nfl disputa la stagione regolare tra settembre e dicembre, per poi vivere a gennaio i playoff e a febbraio la finalissima, ossia il Superbowl, l’evento in assoluto con la maggiore audience televisiva sul territorio americano. Dopo sette giornate di campionato è difficile indovinare le protagoniste dell’atto finale, che andrà in scena il 7 febbraio allo stadio Levi’s di Santa Clara, la casa dei San Francisco 49ers. A proposito di numeri, il prossimo sarà il 50° Superbowl. Gli esperti di marketing non si sono fatti sfuggire l’occasione e per la prima volta il marchio sarà raffigurato con cifre arabe e non romane. Il business, quindi, detta ancora legge, anche al di fuori degli Usa visto che ben tre sfide della stagione regolare sono state programmate allo stadio Wembley di Londra: l’ultima, in programma domenica prossima, tra Kansas City e Detroit. Archiviato il football, la primavera porterà la “March madness”, la follia di marzo. In tre settimane di sfide incessanti verrà assegnato il titolo del basket universitario, con milioni di americani dediti al rito del bracket: la compilazione del pronostico coinvolgerà anche Barack Obama, che per l’ultima volta stilerà dalla Casa Bianca la sua personale schedina. La final four della Ncaa sarà ospitata da Houston nel primo weekend di aprile. Maggio e giugno saranno i mesi dei playoff Nba, ma anche il periodo della Stanley Cup, l’atto conclusivo del campionato di hockey su ghiaccio (Nhl), l’ultimo che mancava all’appello. Dalla palla a spicchi al disco, dall’ovale alla pallina che rotola su un diamante, un anno di sport “made in Usa” senza soluzione di continuità, ma con i momenti caldi ben scanditi nel calendario.