la Repubblica, 28 ottobre 2015
Due morti ammazzati per strada a Roma. È un regolamento di conti
ROMA. Due colpi di pistola, uno alla testa e uno al fianco. Un’esecuzione nel cuore della notte in uno dei quartieri più pericolosi di Roma, Ponte di Nona, ribattezzata la Scampia capitolina. Un duplice omicidio che arriva quattro giorni dopo una gambizzazione a Ostia, litorale romano. Si torna a sparare nella Città Eterna, dove gli equilibri criminali sono stati sconquassati dall’inchiesta Mafia Capitale e devono essere riscritti. È in questo contesto – una guerra per il dominio della piazza in cui spacciare – che si inquadra l’agguato mortale della scorsa notte.
Le vittime sono due pregiudicati: Mirko Scarozza, 26 anni, e Fabrizio Ventre, di 35, freddati con una calibro 6.35 poco prima della mezzanotte in strada, tra via Raoul Follereau e via Berta Von Suttner, periferia est della città. I due avevano un appuntamento con il o i killer. Ne sono quasi certi i carabinieri del nucleo investigativo del gruppo di Frascati che stanno lavorando al caso. Avrebbero dovuto chiarirsi su una questione di droga, un debito non pagato o un patto non rispettato. Invece la discussione è degenerata e con una pistola di piccolo calibro, Scarozza è stato colpito da un colpo al fianco, Ventre alla testa. Tre colpi, di cui due andati a segno e letali, e uno a vuoto: il bossolo è stato ritrovato dagli investigatori.
Le due vittime, con una sfilza di precedenti penali (dallo spaccio all’omicidio volontario), non sono morte all’istante. Quando i medici del 118 sono arrivati a Ponte di Nona erano vivi: Mirko Scarozza è deceduto in ambulanza durante il trasporto; Fabrizio Ventre nella sala operatoria del policlinico Tor Vergata mentre lo stavano operando. Il più giovane, Mirko, avrebbe dovuto essere in casa, era ai domiciliari dopo una condanna a 14 anni in primo grado, arrivata due anni fa, per l’omicidio di un giovane a Grottaferrata (Castelli Romani) nel gennaio del 2011. Scoppiò una rissa davanti al pub Derby’s per colpa di una spallata involontaria e lui, insieme a un complice, uccise con 3 coltellate al petto un ventiquattrenne, Alessio Di Pietro, di fronte alla fidanzatina con cui stava trascorrendo una serata. Appena due mesi prima era stato arrestato, processato e subito rimesso in libertà dopo aver accoltellato un romeno nel corso di un’altra rissa. Ventre era stato invece in carcere per estorsione e spaccio.
Nel quartiere le vittime avevano un ruolo apicale nel traffico di stupefacenti: erano loro a coordinare la “piazza” a pagare le vedette, a ordinare estorsioni nei confronti di chi non saldava i debiti di droga. Estorsioni che si traducevano nello sfratto immediato di inquilini di Ponte di Nona dagli appartamenti del Comune: la casa come saldo del debito. I due avevano preso il posto degli amici, arrestati nel corso di un blitz dei carabinieri nel febbraio 2015 che smantellò un’organizzazione di spacciatori al cui servizio lavoravano oltre cento persone, ognuno con un ruolo: piccoli pusher al dettaglio, giovani vedette piazzate sopra i tetti dei palazzi per avvisare dell’arrivo delle forze dell’ordine e anziani incensurati che si prestavano a custodire hashish, cocaina e marijuana in casa loro per evitare sequestri. La piramide era regolamentata in un documento custodito in una cassaforte, in cui attraverso metafore calcistiche, erano specificati i ruoli della “squadra” dello spaccio.
A Ponte di Nona sugli omicidi della scorsa notte il quartiere spiega: «Amavano la stessa donna e si sono ammazzati per gelosia». Se così fosse qualcuno avrebbe dovuto portare via le pistole dopo l’omicidio, sul posto non c’erano. E i due avrebbero dovuto spararsi nello stesso istante. A parte una pista poco plausibile, che tuttavia prima dell’autopsia non si può escludere, nessuno ha visto. Un’anziana si affretta a pulire il sangue sul marciapiede e un mazzo di fiori copre quel che resta della notte di fuoco. Il silenzio è la regola in quella fetta della città. E parlare di quanto accaduto di fronte ai cronisti innervosisce gli animi. Tanto che una troupe del Tg1 è stata aggredita dalla folla ed è stato necessario l’arrivo di una gazzella. Nei paraggi non ci sono telecamere e contare sui testimoni è impresa ardua. I carabinieri lavorano sui cellulari delle vittime perché sono sicuri che l’assassino sia nella cerchia delle loro conoscenze.