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 2015  ottobre 28 Mercoledì calendario

Sta nascendo una squadra di ciclismo assemblata con un’inserzione su Facebook: giapponesi, greci, messicani correranno tutti in nome di Israele

PESCHIERA DEL GARDA Giocarsi il futuro in 4 secondi, spingendo sui pedali di una bici imbullonata al pavimento. Riposare. Riprovare. Riposare e riprovare ancora. Il display segna 800 watt: buono. Arriva a 900: buonissimo. Passa i 1.000: super. Alla fine accasciarsi sul manubrio, in un lago di sudore, con le gambe che sembrano trafitte da spilli. Test concluso, il computer ha registrato ogni respiro: avanti il prossimo. Aviv, l’israeliano. Masuru il giapponese. Nikolaos il greco. Dan il namibiano. Luis il messicano. Merawhi l’eritreo. E gli altri: 16 ragazzi sbarcati a Malpensa da Mexico City, Tokyo, Windhoek (Namibia), Gerusalemme, Tallin. Tratto comune: sono promesse del ciclismo in paesi dove il mestiere di ciclista non esiste.
Li ha convocati sul Garda, rivoluzionando i metodi di selezione tradizionali, in mano ai procuratori, il magnate israeliano della finanza Ron Baron. Baron ha postato un messaggio su Facebook: talenti di tutto il mondo speditemi i vostri curricula, sogni e motivazioni. I migliori saranno ingaggiati nel primo team professionistico israeliano, bandiera di tutti quegli stati dove i ciclisti trovano solo porte chiuse. Per mancanza di soldi, di gare, di strade, di tecnici. «O come accade in Israele – spiega Ran Margaliot, il selezionatore – perché gli atleti se li prende l’esercito appena maggiorenni. Dopo tre anni, quando lasciano la divisa, è troppo tardi per il professionismo».
A Baron sono arrivati 628 curricula. I convocati sul Garda sono 20, dopo i test ne resteranno 6, massimo 8. I grandi talenti del Corno d’Africa non sono arrivati per mancanza di visto. Verranno valutati sul posto. Cycling Academy – squadra ma anche scuola – nasce nel 2014 e ora cambia marcia. «Puntiamo al professionismo vero nel 2017 – spiega Margaliot – al Giro d’Italia del 2018, a uno storico debutto al Tour nel 2019».
Nel 2016 nuova base operativa: l’Italia. «Dove cultura, strade, cibo, qualità dei tecnici – continua Margaliot – sono al top. Avremo bici, abbigliamento, allenatori e medici italiani. Costruiremo la sede dalle parti di Ravenna, i corridori si trasferiranno qui». Ci saranno azzurri? «Forse – dice il team manager – ma solo se avranno talento, fame e curricula impeccabili».
Ai ragazzi arrivati a Peschiera è stato chiesto di portare perfino i referti dei pediatri, per scavare nel loro passato. Molti, però, non hanno mai fatto un elettrocardiogramma, un esame del sangue, un test nella loro vita. Oltre a quello dei 4 secondi, ci sono altri test, colloqui motivazionali e – oggi – una gara «privata» sulle strade gardesane. «Non ci interessa il risultato – chiarisce Margaliot – piuttosto capire come si muovono». La fame non manca. Nel ricco Giappone, Masaru Nakazato, passista, non trova squadre: «Il ciclismo non interessa». In Grecia Nikolaos Ioannidis, velocista, non trova le strade: «Ci sono buche così grandi che ci scompari dentro, così si gareggia solo in pista». In Messico, Luis Lemus, scalatore, non riesce a sognare: «Le corse vere sono solo qui in Europa».
Tra una settimana, elaborati i dati, alcuni di loro riceveranno per mail il primo contratto di lavoro. Tra due mesi si trasferiranno in Italia. Un futuro da campioni non è assicurato, una strada dove pedalare quella sì.