Corriere della Sera, 28 ottobre 2015
I clintoniani manovrano contro la Yellen, pronta ad alzare il tasso di sconto forse già oggi
Da mesi Janet Yellen, settant’anni l’estate prossima, prepara il primo aumento del costo del denaro della Federal Reserve dal 2006. È atteso per dicembre e sarà il primo dall’inizio della Grande recessione, ma la manovra che invertirà il corso di una politica monetaria fin qui estremamente accomodante è contrastata da diversi consiglieri della banca centrale americana. Interventi pubblici per contestare il capo dell’istituzione, non era mai successo. E i principali oppositori sono banchieri con esperienze politiche nello staff di Barack Obama e, prima ancora, di Bill Clinton, esponenti di spicco dell’establishment democratico. Molti adesso si chiedono se la resistenza a un aumento dei tassi non miri anche a evitare scosse e brutte sorprese durante la campagna elettorale di Hillary. Peraltro sono posizioni che coincidono con quella di Larry Summers: l’ex ministro di Clinton in questi mesi attivissimo nelle contestazioni alle scelte della Fed. A Summers due anni fa venne preferita Yellen.
Per l’appunto il calendario della Federal Reserve non prevede un incontro con la famelica stampa finanziaria di Washington dopo il vertice di oggi. E probabilmente Janet Yellen, settant’anni l’estate prossima, la considera la coincidenza più fortunata del suo biennio alla guida della banca centrale americana. La presidente eviterà, per ora, le domande che tutti vorrebbero porle: che effetto fa guidare l’istituzione finanziaria più potente al mondo mentre è in corso una rivolta senza precedenti nella sua squadra più stretta di collaboratori; come ci si sente a preparare una manovra monetaria potenzialmente destabilizzante per i mercati globali, mentre l’ex segretario al Tesoro Larry Summers lavora per impadronirsi del vostro posto di lavoro. Soprattutto, come ci si sente a farlo quando la campagna elettorale per la Casa Bianca e la corsa di Hillary Clinton rischiano di entrare come uno spiffero freddo dalla vostra finestra.
Janet Yellen una risposta piuttosto precisa deve averla. Da mesi sta preparando il primo aumento del costo del denaro della Federal Reserve dal 2006, il primo dopo la Grande recessione, dopo il taglio degli tassi d’interesse a zero e dopo interventi della banca centrale sui mercati per molte migliaia di miliardi di dollari. Questa è stata la storia degli ultimi dieci anni, ma da allora l’America è lentamente guarita. La crescita quest’anno sarà del 2,5%, la disoccupazione è scesa da oltre il 10% al 5,1%, l’inflazione resta bassissima ma non sembra assurdo avviare una lieve, cauta stretta monetaria prima che rialzi la testa. Dopotutto è un’anomalia nella storia che una banca centrale così potente continui a prestare denaro gratis per tanto tempo a banche, attive in tutto il mondo, il cui bilancio supera il reddito di un anno dell’Italia.
Dopo mesi di esitazioni anche Yellen sembra essersene convinta. In un discorso del 24 settembre scorso lo ha detto per la prima volta: «Gran parte dei miei colleghi e io stessa prevediamo che sarà probabilmente appropriato (alzare i tassi, ndr) quest’anno». Parole scelte una ad una, accolte quel giorno da Wall Street con un balzo verso l’alto. Quella frase infatti non testimoniava solo la fiducia della Fed nella ripresa americana. Segnalava anche che la banca centrale aveva in Yellen una leader decisa, capace di guidarla. Non a caso il suo vice Stanley Fischer, 73 anni, uno dei maestri di Mario Draghi al Massachusetts Institute of Technology negli anni 70, l’ha confermata l’11 ottobre: «Prevediamo un aumento dei tassi quest’anno».
Il problema è che il conflitto nel vertice della Federal Reserve è esploso il giorno dopo. Lael Brainard, uno degli altri tre governatori che compongono l’esecutivo della Fed, si è opposta e ha smontato pubblicamente l’analisi di Yellen, pezzo a pezzo. Poi ha subito incassato l’appoggio di un altro governatore, Daniel Tarullo, in quella che ha tutta l’aria di un’operazione coordinata per evitare che il vertice della Fed di oggi preparasse una stretta da eseguire poi in dicembre. È stato un evento senza precedenti. In passato molti presidenti delle Fed regionali, da Cleveland a Kansas City, avevano dissentito. Ma non era mai successo che due membri del vertice di Washington contestassero in pubblico il loro capo.
Ovviamente Brainard e Tarullo possono ancora perdere la loro partita, anche se hanno ottimi argomenti: l’inflazione è quasi a zero, la ripresa non è robusta e la frenata della Cina preoccupa. Ma gli osservatori notano che i due protagonisti della rivolta hanno anche un passato in comune. Entrambi hanno lavorato per Barack Obama e da lui sono stati nominati nella Fed: Tarullo è stato suo consigliere in campagna elettorale, Brainard ha gestito dal Tesoro la sua diplomazia finanziaria. Prima ancora Tarullo e Brainard avevano lavorato nella squadra di consiglieri economici della Casa Bianca di Bill Clinton ed entrambi restano esponenti di spicco dell’establishment democratico.
Molti adesso si chiedono se la resistenza dei due a un aumento dei tassi non miri implicitamente anche a evitare scosse e brutte sorprese durante la campagna elettorale di Hillary. Peraltro la loro posizione coincide con quella di Larry Summers: l’ex ministro di Clinton (ed ex consigliere di Obama) in questi mesi è attivissimo, in pubblico e in privato, nell’interferire, discutere e contestare le scelte della Fed. Summers non dimentica che due anni fa gli venne preferita Janet Yellen per la guida della banca centrale. Ma sa anche che, con Hillary alla Casa Bianca, fra due anni magari potrà toccare a lui.