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 2015  ottobre 27 Martedì calendario

Vincent Lindon parla della "Legge del mercato" un film girato con attori presi per strada, dove tutti hanno accettato il minimo sindacale e le star hanno rinunciato al proprio cachet: «Una pellicola capace di risvegliare la consapevolezza, in questo mondo dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri»

Vincent Lindon, 55 anni, ha l’aria stropicciata di chi si trova per caso nel grande circo del cinema, ma è uno degli attori più richiesti e premiati della sua generazione. Viene da una famiglia dell’alta borghesia francese, ha amato le donne più famose e più belle (come la principessa Carolina di Monaco e Chiara Mastroianni), è di casa nel jet set ma con quella sua faccia umanissima, alla Jean Gabin, interpreta quasi sempre operai, proletari, uomini abituati a fare a pugni con le difficoltà della vita. Il pubblico italiano l’ha molto apprezzato in Welcome, il film in cui faceva un maestro di nuoto e aiutava un clandestino ad attraversare la Manica.
Per l’ultimo personaggio, un disoccupato che per sopravvivere accetta il lavoro ingrato di sorvegliante in un supermercato nel film di Stéphane Brizé La legge del mercato (gran successo in Francia, sarà nelle nostre sale dopodomani con Academy Two), Lindon ha lavorato gratis e vinto poi il premio della migliore interpretazione a Cannes. E lo ha ritirato tra le lacrime.
Comunicativo e sincero senza filtri, nella vita tanti tic che davanti alla cinepresa miracolosamente scompaiono, Vincent è passato da Roma per promuovere il film costato appena un milione e mezzo e girato in 16 giorni. E racconta la sua sfida, condivisa con gli altri interpreti presi dalla strada.
Innanzitutto, perché a Cannes ha pianto?
«Perché il riconoscimento del Festival è il più prestigioso del mondo, e ci sono grandi attori che non l’hanno mai avuto. In secondo luogo, non avevo mai vinto un premio in vita mia: in Francia sono l’eterno candidato al César ma non lo prendo mai. Sulla Croisette ho vissuto un momento estremamente commovente, un’emozione fortissima perché sapevo che tutto il mondo mi guardava. Non ci speravo più».
Com’è nato il film?
«Dalla volontà mia e del regista di rispecchiare i nostri tempi e le difficoltà dei protagonisti che non riescono ad arrivare alla fine del mese. Per questo abbiamo preso degli attori non professionisti e voluto che il film costasse poco. Abbiamo pagato il minimo sindacale quelli che hanno accettato di lavorare con noi e noi stessi abbiamo rinunciato al nostro cachet».
È stato difficile calarsi nei panni di un disoccupato costretto, per lavorare, a spiare i colleghi?
«Meno di quello che si pensi. Io non vivo come una star: non ho segretari, autisti o guardie del corpo, a Parigi giro in motorino e non faccio i capricci. Gli altri interpreti del film hanno avvertito la mia sincerità e si sono lasciati andare».
Questo film riflette le sue opinioni politiche?
«Non mi identifico in nessun partito ma ho un’etica e cerco di associarla al mio lavoro. Mi piacciono i film capaci di risvegliare la consapevolezza. La legge del mercato è stato tanto amato perché questa crisi è universale. Dovunque i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri».
I politici hanno capito?
«Non credo proprio. In Francia come negli altri Paesi, non conoscono la vita e i problemi reali. Dovrebbero essere mandati periodicamente a vivere una giornata-tipo delle persone comuni di cui sono chiamati ad occuparsi».
E il cinema può risvegliare le coscienze?
«Può farlo dolcemente, può aiutare a rendere le persone più consapevoli e istruite senza la pretesa di fare la lezione. Se abituiamo i nostri figli a vedere i film di Walsh, Lubitsch, Antonioni, Visconti o Renoir, smetteranno di subire passivamente le schifezze che propina la tv».
Qual è il suo metodo di lavoro?
«Osservo la realtà, ho un’autentica passione per l’umanità. Tra un film e l’altro mi prendo una lunga pausa e spesso mi siedo nei bar, sorseggiando un bicchiere di vino e osservando le persone. Sono bravissimo ad assimilare i gesti e i comportamenti che poi replico sul set».
Ha conosciuto dei veri disoccupati?
«Tre dei miei amici hanno perso il lavoro. Non vivo in una torre d’avorio, mi piace ascoltare la gente. Se mi chiedono un selfie rispondo di no, preferisco far due chiacchiere».
È rimasto affezionato al protagonista di “La legge del mercato”?
«Sì, perché si pone di fronte a un dilemma morale e non permette che la sua dignità venga calpestata. Vorrei un fratello come lui. Anzi, vorrei che i miei figli fossero come lui».