ItaliaOggi, 27 ottobre 2015
Spiare Giovanni XXIII è sempre stata una specialità di ex nazisti tedeschi ripuliti dagli americani. Lo rivelano i dossier del Bnd, il controspionaggio della Germania di Bonn negli anni Sessanta
«Per me non era importante l’Italia, ma avevo un agente in Vaticano», mi rivelò Markus Wolf, il capo del controspionaggio della Germania Est, una sera a cena. A lui si ispirò John Le Carré per La spia che venne dal freddo, romanzo che a lui non piaceva. Per 34 anni batté sempre gli avversari occidentali, finché nel 1986, prevedendo la fine della Ddr, decise di andare in pensione, e si mise a scrivere libri sul suo mestiere, senza mai rivelare nulla di compromettente.
Si faceva pagare le interviste, da me amichevolmente si accontentava di tagliatelle al tartufo, accompagnate da un Brunello. Non osai mai metterle in nota spese al giornale. Per me era gratificante sedere a tavola con un mito dello spionaggio, meglio di James Bond.
Wolf, Mischa per gli amici, scomparso nel 2006, mi propose di scrivere un libro, appositamente per i lettori italiani, sul suo Spionen in Vaticano, ma stranamente, o forse no, non riuscii a trovare un editore. A quanto pare, spiare il Papa è sempre stata una specialità dei servizi segreti tedeschi, dell’Est e dell’Ovest, come rivela nell’ultimo numero Der Spiegel, che è venuto in possesso dei dossier custoditi negli archivi del Bnd, il controspionaggio della Germania di Bonn negli anni Sessanta. Sotto sorveglianza speciale era il Papa buono, Giovanni XXIII, troppo buono e quindi sospetto ai tempi della guerra fredda per gli americani. Il Bnd agiva, di fatto, come una succursale dei colleghi statunitensi.
Nell’autunno del 1962 una delegazione di vescovi tedeschi andò a trovare il Papa. Il cardinale Joseph Frings pronunciò un saluto in latino. Giovanni XXIII rispose che si trovava in imbarazzo, il suo latinorum era arrugginito. «Allora parliamo in italiano», lo tranquillizzò Frings. Uno scambio di battute innocente, ma che viene riportato con precisione nel dossier del Bnd. Chi era la spia?
A capo del servizio di Bonn era Reinhard Gehlen, dal passato nazista che era stato ripulito dagli americani. Per fronteggiare l’Urss non ci si faceva scrupoli. Gehlen (1902-1979) era stato un fedelissimo di Hitler e avversario dell’ammiraglio Canaris, capo dello spionaggio del Terzo Reich, che verso la fine prese le distanze dal Führer. Gehlen reclutò i suoi ex collaboratori, aiutò diversi criminali nazisti a fuggire in Sud America, ma era un affidabile esperto dell’Europa orientale. Era anche un nepotista che pensava alla famiglia: come agente a Roma nominò suo fratello Johannes, considerato un pasticcione. Amava i caffè di via Veneto e il suo nome in codice, non a caso, era Don Giovanni. Ma sosteneva di avere buone entrature in Vaticano (tuttavia sbagliò le previsioni sulla nomina di due papi).
Giovanni XXIII preoccupava Washington perché cercava di stabilire rapporti con Kruscev per migliorare la situazione dei cristiani in Urss. Nell’aprile del 1963 viene riportata nei dossier un’altra conversazione divertente. Il Papa passeggia nei giardini vaticani con Jossif Slipy, capo della chiesa ucraina. «Voglio farla cardinale», confida Giovanni XXIII. «Non ne sogno degno», ribatte Slipy. «Vorrei essere il primo Papa che nomina cardinale un russo», ride il Santo Padre. «Veramente sono ucraino». «Non importa, intendo nominare il primo cardinale che sia un cittadino sovietico». Invece di sorridere, gli americani si allarmarono.
Al Bnd interessava sapere se il Papa intendeva riconoscere il nuovo confine tra Polonia e Germania (a quanto pare, no). E avrebbe incontrato Kruscev? A Roma era giunto il genero Alexej Adjubei per stabilire il contatto. Il suo colloquio con il Pontefice, il 7 marzo del infatti ’63, durò 18 allarmanti minuti, ma il russo – scriveva Don Giovanni- sembrava troppo dedito al vino dei Castelli. L’incontro con Kruscev non avvenne, anche perché il Papa morì pochi mesi dopo. Forse Markus Wolf vinceva sempre perché, come James Bond, aveva un debole per le donne, bionde e rotondette, ma diffidava dei parenti.