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 2015  ottobre 27 Martedì calendario

Vita di Jeanne-Louise Beaudon, cioè di Jane Avril, cioè di Jane la Folle, regina della Belle Epoque

L’abbiamo vista ritratta in tutte le pose da Toulouse-Lautrec, in quadri e manifesti, con la sua faccia, le sue gambe, sovente anche il suo nome, di fronte, di profilo, di schiena, seduta, con i guanti, mentre osserva un’incisione, mentre balla sfrenata, mentre esce dal suo regno, il Moulin Rouge: è l’epifania ricorrente, l’immagine iconica di un’epoca, la più gioiosa di tutte nelle sue parole nostalgiche della vecchiaia, quella Belle Epoque così sfavillante, così leggera, così in fondo fragile, perché beatamente incamminata verso la catastrofe. Si chiamava Jeanne-Louise Beaudon, nata a Parigi nel 1868, figlia illegittima di un marchese italiano e di una brillante cortigiana in declino, ma avrebbe segnato un paio di decenni della Ville Lumière come Jane Avril, o anche «Jane la Folle», per via del dionisiaco ardore con cui si abbandonava al turbine delle danze.
Una sfilata di celebrità
Un puro nome, ormai. Che però riacquista piena e corposa sostanza umana nelle sue memorie, pubblicate in Francia nel 1933, dieci anni prima della morte, e riproposte ora da Castelvecchi con il titolo La ragazza del Moulin Rouge (pp. 92, € 12,50). Un racconto privo di velleità letterarie, spesso ingenuo e a tratti fin noioso negli interminabili elenchi di locali celebri e celebrità che in molti casi a noi non dicono più niente – in cui però ricorrono anche nomi come lo stesso Toulouse-Lautrec («geniale invalido che dissimulava una profonda malinconia con una pungente prontezza di spirito»), Oscar Wilde, Verlaine, Mallarmé, Villiers de L’Isle-Adam, Huysmans, Chéret, Steinlen, Picasso, Renoir, Debussy, Caran d’Ache, la Bella Otero... Ma insieme un meraviglioso spaccato d’epoca, di come vivevano e (soprattutto, se non solo) si divertivano i giovani e meno giovani signori del bel mondo galante, gli artisti e gli scrittori della bohème, e le donnine che cercavano disperatamente di farsi largo sulla scena della capitale uscita con rinnovato slancio dal disastro della guerra franco-prussiana e dalla prova della Comune.
Dopo un’infanzia e un’adolescenza segnate dalla povertà e da una madre ciclotimica tosto abbandonata dall’amante italiano, dopo una mezza idea, a 17 anni, di farla finita nella Senna, sventata da alcune premurose «professioniste del piacere», ecco Jane un giovedì di gala al Bal Bullier, abbigliata con i gentili omaggi di quelle nuove amiche. «Non appena cominciò il ballo, scandito dal ritmo trascinante di un’orchestra indiavolata, uno slancio irresistibile mi travolse… Quella sera venne così allo scoperto la mia vocazione per la danza, la mia sola ragione di vita, ormai…».
La Goulue e il Petomane
La scalata all’effervescente milieu parigino comincia dai margini. La ragazza frequenta ristoranti e brasserie di poco prezzo e pasti abbondanti, da dove spiccano il volo le più celebrate protagoniste del demi-monde – le «Orizzontali di marca», come venivano chiamate allora –, al centro di «amori folli e scandalosi con tutti i giovani nobili del tempo: begli ufficiali di cavalleria, ussari, dragoni, cacciatori di guarnigione». Sono gli anni in cui il generale Boulanger si profila come il nuovo uomo del destino per la Francia orfana di Napoleone III, si mormora che possa diventare lui il nuovo Empereur, l’opinione pubblica si divide in boulangisti e antiboulangisti. Jane lavora come cassiera all’Expo parigina del 1889, assiste alle esibizioni delle danzatrici del ventre e dei fachiri divoratori di vetro, scopre gli svaghi delle Folies Hippiques, dove per 50 centesimi si può fare qualche giro di pista a cavallo e addestrarsi nel pattinaggio a rotelle, per qualche tempo si esibisce come cavallerizza all’ippodromo di avenue de l’Alma. E intanto non si stanca di visitare i musei, «per riempirmi gli occhi di cose belle».
Ma appena può si precipita al ballo, un rifugio dove esprimere i sogni e i dispiaceri, le speranze e le gioie, e affogare la tristezza latente. L’incontro fatale è con Charles Zidler, il re dei venditori ambulanti di dolcetti, che ha appena inaugurato a Montmartre il Moulin Rouge. In un clima di euforia collettiva, nella sala illuminata da mille candele, tra sciantose e danzatrici dalle gambe coperte da calze di pizzo nero che erompono da vaporose sottane bianche, Jane assiste ammirata alle esibizioni di Yvette Guilbert, la vedette immortalata nei manifesti di Chéret e Steinlen. Conosce «La Goulue», la regina della quadriglia a cui Lautrec ha dedicato una delle sue affiche più celebri, bella e insolente, un po’ sboccata, che una volta se la vede brutta in una zuffa notturna con una povera debuttante algerina di nome Aïcha, quando viene salvata poco prima di venire precipitata da un ponte nel cimitero di Montmartre (in seguito abbandonerà la danza per cimentarsi come domatrice di belve feroci). Si imbatte anche nel Petomane (quello che ha ispirato il film con Tognazzi), di cui però ha cura di evitare gli spettacoli.
Le «cene galanti»
Jane Avril accetta infine l’ingaggio offertole da Zidler. Per lei come per le sue compagne, le serate trascorrono tra giovani e meno giovani ammiratori che le coprono di fiori e cesti di frutta, in una girandola di amanti che all’epoca si chiamano «protettori». Ma lei rifugge da ogni tentazione di ménage-à-trois, così come dalle serate troppo audaci (le «cene galanti» si consumavano già allora). Il pomeriggio si va al Bois de Boulogne, su e giù su eleganti carrozze lungo il viale delle Acacie dove si mette in mostra tutto il lusso di Parigi, oppure si passeggia in mezzo alle luci degli Champs Elysées, e d’inverno ci si slancia in spericolate evoluzioni al Palais de Glace. La domenica si fa canottaggio sulla Marna, o si indugia in languide gite lungo la Senna. Poi c’è l’ora degli aperitivi con letterati, giornalisti e artisti, dove si mescolano filosofia e frivolezze, poi il cabaret, dove spicca Aristide Bruand, il cantautore «senza troppa creanza» che campeggia in uno dei più celebri manifesti di Toulouse-Lautrec, le taverne di Pigalle, e di notte il «giro dei locali» (anche la movida non è certo un’invenzione recente).
Nella bella stagione Jane si trasferisce al Jardin de Paris, l’altro locale aperto da Zidler dove in seguito sarebbe sorto il Petit Palais. Ogni tanto tradisce il suo affettuoso pigmalione per esibirsi altrove, allo Chat Noir reso celebre dalle affiche di Steinlen, frequentato anche dal principe di Galles, al Divan Japonais (è lei che compare nel manifesto di Lautrec, accanto al poeta Edouard Dujardin, precursore della tecnica del «flusso di coscienza»), alle Folies Bergère, dove tiene banco quella Loïe Fuller catturata nel vortice della sua danza dal genio cartellonista di Chéret, al Café Américain regno della crème de la crème, al Casino de Paris dove conosce il poeta simbolista Pierre Louÿs e Mistinguett, la nuova vedette in ascesa. Tenta anche senza troppa convinzione la via della recitazione, ma poi torna sempre al suo vecchio Moulin.
Intanto gli anni passano, nella Parigi «moderna Babilonia». Tra eccessi e scandali, le retate della polizia nei locali dove offrono i loro servigi giovani travestiti e la morte boccaccesca del presidente della République Félix Faure, fulminato mentre Madame Steinheil gli pratica una fellatio, si arriva al volgere del secolo. Jane, che nel frattempo ha avuto un figlio, annota amaramente che è finito il tempo della flânerie, di una condizione dello spirito irripetibile. Gli artisti si sono imborghesiti, in giro non si vedono che affaristi e operatori di Borsa. (Ma «per Parigi non ci sarà mai fine», proclamerà alcuni decenni più tardi Ernest Hemingway, ricordando la «festa mobile» della sua giovinezza felice e squattrinata tra i vagabondi della lost generation).
Nonostante Zola
La regina del Moulin Rouge infine cede a un aspirante marito (il pittore art nouveau Maurice Biais, che presto la lascia vedova) e ogni tanto per strada incrocia Emile Zola. È vero, in quegli anni si assiste anche alla nascita del moderno intellettuale engagé, ma la Belle Epoque resta soprattutto un lungo periodo smemorato, una zona franca temporale in cui gli spiriti migliori si dedicano a tutto meno che alla comprensione di ciò che accade loro intorno e dei nodi che si aggrovigliano sotterraneamente. Un frenetico ballo collettivo sul piano inclinato che gioiosamente convoglia il mondo nelle fauci spalancate del mostro chiamato Secolo breve.