La Stampa, 27 ottobre 2015
Marino non ha più la maggioranza per governare. Ma non c’è nemmeno la maggioranza per sfiduciarlo
Voluti dal presidente del partito e commissario per Roma Matteo Orfini, come risposta alla manifestazione di domenica, i diciannove «no» a Marino allineati all’unanimità da tutti i consiglieri comunali del Pd di fronte all’ipotesi che il sindaco, come ha detto davanti ai cittadini che manifestavano in suo favore, possa decidere di ritirare le dimissioni, erano sicuramente necessari, ma potrebbero non essere sufficienti a convincerlo a non tornare sui suoi passi. Per ragioni numeriche e politiche: se davvero Marino decidesse di avviare una verifica politica, malgrado il documento ultimativo con cui il gruppo consiliare del Pd lo ha invitato a farsi da parte, occorrerebbero ventisei voti, la metà più uno del consiglio comunale, per farlo fuori. La maggioranza su cui poteva contare il sindaco ne aveva ventisette. Tolti i diciannove del Pd, ne restano otto: quattro della lista Marino, contrari alla defenestrazione del primo cittadino, e quattro di Sel, che ieri ha ribadito che intende ascoltarlo nell’aula del Campidoglio, prima di decidere, e tuttavia in nessun caso voterà la sfiducia insieme con la destra, ciò che tra l’altro riproporrebbe l’alleanza consociativa da cui era originata la corruzione scoperta dall’inchiesta su mafia capitale. D’altra parte, per ottenere la maggioranza del consiglio comunale i voti della destra, anche se non tutti, diventano indispensabili.
Ed è su quest’aspetto che Marino proverà a basarsi per cercare di indurre al ripensamento qualcuno dei diciannove che ieri lo hanno condannato. Le possibilità che ci riesca, va detto, sono scarse. Ma nella narrazione dell’ormai ex-sindaco il comportamento del suo partito servirebbe a rappresentare la sceneggiatura di una vendetta: io avevo svelato il sistema della corruzione e del malaffare nella Capitale, loro, che ne facevano parte, mi ripagano con il licenziamento. La denuncia e la rottura pubblica nell’aula consiliare servirebbero come premessa della campagna che Marino ha in mente, sia per le primarie, se ci saranno, sia per il prossimo voto di primavera, che potrebbe vederlo correre a capo di una lista civica mirata a danneggiare il Pd e a impedirgli di riconquistare l’amministrazione del Comune.
La strategia del Pd tiene conto di questo rischio, ma punta egualmente ad accelerare l’uscita di scena del sindaco, per aprire la fase commissariale, che dovrebbe dimostrarsi capace di affrontare i problemi più urgenti della città e contribuire a far dimenticare l’esperienza del sindaco uscente. Un’arrampicata molto difficile, stando ai sondaggi, che rivelano, insieme, l’urgenza che il sindaco passi la mano, ma anche la sfiducia sul fatto che il Pd possa ambire a guidare nuovamente l’amministrazione della Capitale.