Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 27 Martedì calendario

Marino è pronto a ritirare le dimissioni

ROMA. Mancano sette giorni all’ora X, e Ignazio Marino continua a sperare che arrivi la telefonata che potrebbe dare una svolta alla crisi romana. Ma Matteo Renzi è in Cile, e da Palazzo Chigi non ha chiamato nessuno. Così il sindaco si prepara alla sua decisione definitiva: “Io – ha confidato ai suoi collaboratori, prima di uscire dal Campidoglio alle sette di sera – resto convinto che la soluzione principe sia quella di un chiarimento politico con la mia maggioranza e soprattutto con il mio partito, con il mio segretario. Ma allo stato delle cose mi pare proprio che l’unica strada che mi rimane sia quella di ritirare le dimissioni”.
Tornare sindaco con i pieni poteri, fermare il count-down verso la decadenza dalla carica e le elezioni anticipate, questa è l’idea che in queste ore sta dominando i pensieri di Marino. Non come una sfida al Pd, però: lui la considera piuttosto “una soluzione tecnica” per arrivare all’atteso “chiarimento politico” quando ancora avrebbe un senso farlo, ovvero prima che lui diventi un ex sindaco.
Chiuso per tutta la giornata in Campidoglio, Marino ha passato la maggior parte del suo tempo a discutere con l’assessore Pucci i dettagli della pedonalizzazione totale dei Fori e ad approvare con la sua giunta alcune delibere urgenti. Ma il clima, nel Palazzo Senatorio, è ormai quello di un fortino assediato, e lui non può contare neanche sui suoi stessi assessori: nove su dodici sarebbero pronti alle dimissioni. Il vicesindaco Causi l’ha detto chiaro e tondo: “Non ha senso questo arroccamento senza sbocco politico”.
Il sindaco però non sa darsi pace per il silenzio di Renzi, inutilmente invitato a un incontro. “Se io fossi uno di quei politici di una volta – ha spiegato ieri mattina a chi gli chiedeva cosa avesse in mente – a quest’ora starei trattando per una prebenda, un seggio o un incarico. Ma io non sono interessato a queste cose, a me importa solo arrivare a un chiarimento politico”.
Ora, non è detto che il “chiarimento” preteso dal Marziano sia il via libera per andare avanti: questo è uno dei possibili esiti, certo, ma al momento non è il più probabile. Potrebbe essere chiarificatore, forse, anche un riconoscimento dei suoi meriti – al posto della sottolineatura dei suoi errori – che apra la strada a una uscita di scena con l’onore delle armi capace di cancellare l’onta delle dimissioni per gli scontrini. “La sua ambizione – rivelava ieri uno dei tre assessori che gli sono rimasti fedeli – non è assistere al massacro del Pd, ma individuare insieme al suo partito un onorevole percorso di uscita. Lui non pretende che i consiglieri si suicidino per lui, ma non può neanche accettare di uscire dal Campidoglio con gli schizzi di fango sulla giacca”.
Dopo la rottura con Matteo Orfini, l’interlocutore su cui punta il sindaco è Renzi. Solo il presidente del Consiglio avrebbe l’autorevolezza per chiudere – in un modo o nell’altro – il “caso Marino”. Ma il premier, a quanto pare, non ha alcuna intenzione di accogliere l’invito. Renzi ti incontrerà, è il messaggio che è stato fatto arrivare a Marino dai fedelissimi del segretario Pd, ma dopo il 2 novembre. Quando le dimissioni saranno diventate definitive.
Non era questo il segnale che il sindaco attendeva. Il suo piano, fino a ieri, era quello di chiedere una convocazione urgente del Consiglio comunale e di ritirare nell’aula di Giulio Cesare le sue dimissioni. Lasciando sempre aperto uno spiraglio, fino a quel giorno, per il “chiarimento” con Renzi. Ma ieri ha saputo che il presidente del Consiglio tornerà solo giovedì dal Sud America, e che Orfini è riuscito a ottenere dai 19 consiglieri del Pd un comunicato in cui si precisa che “il gruppo consiliare e il Partito democratico sono tutt’uno nel giudicare l’amministrazione Marino” (anche se volutamente non si precisa qual è, questo giudizio comune: “Un comunicato-supercazzola”, l’ha definito uno degli stessi firmatari).
Le contromisure messe in campo dal Pd romano, che ormai lo considera un avversario da abbattere, hanno fatto venire al sindaco il dubbio che persino la sua richiesta di una convocazione urgente del Consiglio potrebbe non essere accolta: il regolamento prevede infatti che la riunione venga indetta entro 20 giorni, un termine che varca le colonne d’Ercole del 2 novembre, e la presidente dell’Assemblea capitolina Valeria Baglio ieri avvertiva che “bisogna essere tutti molto calmi”.
Capita l’antifona, Marino ha scelto dunque la sua “soluzione tecnica”. Aspetterà fino all’ultimo un segnale da Renzi, ma se questo segnale non arriverà fermerà il conto alla rovescia e ritirerà le dimissioni. E a quel punto aspetterà il “chiarimento”, a Palazzo Chigi o nell’aula di Giulio Cesare, ma con tutti i poteri del sindaco di Roma.