Corriere della Sera, 27 ottobre 2015
Enel dismette 23 centrali. Il problema è che cosa farne
Tate Modern, a due passi dal Millennium Bridge e dal Ponte dei Frati Neri, pieno centro di Londra. In questo luogo dove si coltiva l’arte moderna un tempo si produceva energia. Fino al 1981, l’edificio che ospita la collezione d’arte dell’industriale Henry Tate era la Bankside Power Station, una centrale elettrica con un’impressionante sala macchine e una ciminiera alta 99 metri, da cui usciva una enorme quantità di fumo. La ciminiera –— simbolo della «Power cathedral» – è rimasta, ma dopo la chiusura dell’impianto tutto è cambiato: la centrale è stata riconvertita in quello che oggi è il museo di arte moderna più visitato al mondo.
La riconversione delle centrali inattive è un tema di grande attualità. Lo scenario energetico sta cambiando in tutto il mondo e in modo particolare nei mercati maturi. La capacità installata è molto superiore rispetto ai bisogni. Anche in Italia, dove le rinnovabili producono il 45% dell’energia consumata.
Enel è il primo gruppo energetico ad affrontare il tema della riconversione nel nostro Paese. L’ex monopolista di Stato sta dismettendo 23 centrali che producono a olio, carbone e gas e che hanno 13 mila megawatt circa di potenza, cioè quasi la metà della capacità totale in centrali termoelettriche del gruppo. «Il settore della generazione termoelettrica in Italia vive un profondo cambiamento – spiega Carlo Tamburi, direttore Enel Italia – perché la riduzione dei consumi, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e l’evoluzione tecnologica stanno portando sempre di più a una generazione da impianti di taglia ridotta, per tener conto delle crescenti esigenze di sostenibilità ambientale, efficienza energetica e competitività».
Gli impianti che Enel intende dismettere, alcuni dei quali non producono già da diversi anni e non potrebbero tornare a produrre nemmeno se la domanda elettrica aumentasse, rappresentano per il nostro Paese un patrimonio industriale che può essere ancora valorizzato. Si tratta, in certi casi, di vecchie centrali turbogas come quella di Alessandria.
Era già non competitiva da oltre dieci anni, quando, nell’estate torrida del 2003, fu riattivata dopo il blackout del 28 settembre assieme ad altre sue vecchie compagne. Ora Enel è consapevole del fatto che il loro tempo è finito per sempre. E ha scelto Alessandria come sito «pilota» per aprirsi ai consigli delle persone per la scelta della nuova destinazione. «È questa l’idea che sta dietro al progetto Futur-E, che abbiamo lanciato per identificare soluzioni sostenibili e accettabili per il territorio», spiega Tamburi. «Enel è una delle prime aziende a lanciare concorsi di idee, chiamando a raccolta cittadini, imprenditori e tutti i portatori di interesse per proporre un proprio progetto per la riqualificazione dei siti industriali. Questo con l’aiuto del Politecnico di Milano. Siamo partiti con Alessandria ed estenderemo la modalità ad altri impianti tra cui, per il momento, Campomarino in Molise, Pietrafitta e Bastardo in Umbria. Per Alessandria abbiamo avuto un ottimo riscontro, con 30 proposte. Ora si apre la fase di selezione».
Ma è soprattutto a Genova, Livorno, Piombino, Bari e La Spezia che potrebbero sorgere le opere di riconversione più ambiziose. Sono infatti proprio gli impianti di queste città, inglobati nel tessuto urbano e non più pensabili come siti di generazione elettrica, che con la loro «vocazione di fruibilità cittadina» potrebbero diventare future Tate Modern.
Tra queste c’è la centrale a carbone di Genova, che sorge accanto alla «Lanterna», simbolo della città: fu costruita agli inizi del Novecento per dare corrente alle macchine operatrici del porto e chiuderà nel 2017. In dismissione ci sono anche le centrali di La Spezia, Livorno, Bari e Piombino. Per quest’ultima c’è già l’interesse di un imprenditore immobiliare straniero.
Per le riconversioni, il ruolo degli enti locali è fondamentale. «La Pubblica amministrazione può contribuire a individuare la strada migliore da intraprendere per il territorio e i cittadini dei Comuni interessati», prosegue Tamburi, «e può aiutare a velocizzare gli iter burocratici necessari».
Delle 23 centrali in dismissione soltanto cinque saranno riconvertite utilizzando un’altra tecnologia o fonte; e con una taglia ridotta rispetto all’attuale potenza installata.