Corriere della Sera, 27 ottobre 2015
Chi è Mauricio Macri, il calabrese che in Argentina potrebbe metter fine al peronismo
BUENOS AIRES A Polistena, dove si vantano di fare i migliori torroni e fichi secchi del mondo, Mauricio Macri non ha lasciato un buon ricordo. Lo scorso anno, durante una riscoperta delle sue origini calabresi, ordinò un pacco di dolciumi alla locale pasticceria che poi non venne mai ritirato alla dogana di Buenos Aires e tornò indietro. Perché, si chiede ancora sconsolato il paisano Salvatore? Ma peggio che il fuoco amico di papà è difficile: «Mio figlio non ha la stoffa per essere presidente», disse l’85enne Franco Macri, che mai gli ha perdonato di aver lasciato le aziende di famiglia per la politica. Per poi cambiare idea di recente: «Mauricio costruirà il Paese industriale e agricolo che ho sempre sognato». Uno dei più potenti imprenditori argentini, il padre del possibile presidente sa di cosa parla: dei suoi traffici con la politica ha riempito le cronache economiche e giudiziarie, dai tempi di Menem che gli privatizzò su misura alcune aziende fino a quelli dei Kirchner, il cui ciclo politico ora il figlio vorrebbe chiudere per sempre.
Quali saranno i punti deboli della sorpresa Macri, nelle tre settimane che separano l’Argentina dal primo ballottaggio elettorale della sua storia, lo deciderà però il confronto con il suo rivale diretto, in un rush finale che promette emozioni. Il voto di domenica è finito in lieve vantaggio – due punti – a favore di Daniel Scioli, candidato di Cristina Kirchner e dell’ala peronista al potere da 12 anni. Macri ha strappato però quanto non poteva immaginare nemmeno nel sogno migliore, poco più del 34 per cento. Già nelle prossime ore si conosceranno i primi sondaggi della corsa a due, ma è opinione diffusa che Macri parta favorito. Perché il 22 per cento raccolto dal terzo arrivato, Sergio Massa, è in gran parte un voto per la fine del kirchnerismo; e perché l’abbrivio in politica è importante: Macri parte con la spinta del vincente. La novità di un secondo turno potrebbe favorirlo anche per un altro motivo: in un faccia a faccia tv c’è meno spazio per il vecchio discorso rotondo e sfuggente del peronismo e più per chi si definisce apertamente un liberale che vuole chiudere con gli aspetti più fondamentalisti degli anni di Cristina: l’intervento statale in economia, la frattura tra i nostri e i loro, la politica di confronto con il resto del mondo. Nel Paese dove è stato praticamente inventato il populismo, un miliardario ha un handicap genetico che può essere sfruttato dal suo avversario. Macri non è però un outsider totale, la sua discesa in campo non può essere equiparata a quella di un Berlusconi al quale è stato a volte paragonato (soprattutto negli anni in cui dirigeva il Boca Juniors). È in politica da più di dieci anni, e buona parte li ha passati guidando la metropoli di Buenos Aires come governatore. Lasciando un buon ricordo, visto che qui ha preso oltre il 50%.
Scioli ha già iniziato a corteggiare gli elettori di Sergio Massa («più vicini alla mia posizione»), ma il suo compito più ostico sarà togliere a Macri la bandiera del nuovo e del cambiamento. Non sarà facile. Il «calabrese» le sue pedine le ha giocate con grande destrezza. Al posto dei soliti ras locali raccatta-voti è riuscito a far eleggere come governatore della provincia di Buenos Aires una donna energica e attraente come Maria Gabriela Vidal, prima volta nella storia argentina. Al suo fianco come vice c’è un’altra signora, Gabriela Michetti, che ha governato la città con lui da una carrozzella, in quanto paraplegica. Poi c’è il grosso del lavoro da fare sott’acqua, i negoziati per spostare i voti decisivi. In questo Macri dovrà essere bravo almeno quanto gli imbattibili peronisti.