Corriere della Sera, 27 ottobre 2015
Sentenza del Consiglio di Stato: le nozze gay celebrate all’estero non sono valide in Italia e quindi la registrazione decisa da certi comuni - come Roma - non ha valore
ROMA Sulle nozze omosessuali i giudici richiamano alla realtà sindaci e politici ma soprattutto invitano il legislatore a decidere chiudendo la porta a improvvisazioni festose o iniziative illuminate. Ciò che manca alla coppia lesbo/omo, dicono i componenti del Consiglio di Stato, è un requisito essenziale che definiscono «ontologico»: la diversità fra i sessi. Lo ha stabilito un verdetto che ha annullato la trascrizione di alcune nozze gay celebrate all’estero da parte del Comune di Roma. Se l’Italia vuole davvero riconoscere questo diritto allora deve introdurne il principio che due persone dello stesso sesso possono essere coppia. È questo un passaggio che, per i giudici del Consiglio di Stato, è essenziale ma che manca nella legislazione italiana.
Al matrimonio gay o lesbo, scrivono i giudici in punta di diritto, manca un requisito essenziale per spiccare il salto del riconoscimento/equiparazione nel nostro ordinamento. È privo «dell’indefettibile condizione della diversità di sesso fra i nubendi (sposi, ndr )». Sembra un gioco di parole ma non lo è: oggi nel nostro paese il presupposto delle nozze è la differenza di sesso, ricordano i giudici. La diversità uomo-donna è la «connotazione ontologica» del rito matrimoniale scrivono, condannando (metaforicamente parlando) chi, come Danilo e Fabio o Costanza e Monia, trascritti nei registri del Comune di Roma un anno fa, avevano creduto nel riconoscimento dei propri diritti.
Ricordate – è la domanda retorica del Consiglio di Stato (rivolta forse ai politici) – qual è il primo tassativo compito del funzionario che celebra le nozze? È proprio la verifica che le persone di fronte a lui possiedano quei requisiti. Donna, uomo. «Il corretto esercizio della potestà – scrivono – impedisce all’ufficiale dello Stato civile la trascrizione di nozze omosessuali celebrati all’estero».
Il Campidoglio è servito. Ma così anche le coppie di fatto. La sentenza chiude la porta all’improvvisazione: «Il dibattito politico in corso in Italia sulle forme e sulle modalità del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali sconsiglia all’interprete qualunque forzatura, sempre indebita ma in questo contesto ancora meno opportuna». Non sarà un caso che dal Campidoglio il primo commento (ufficioso) alle parole dei giudici è che si tratta di una «sentenza conservativa».
Il Consiglio di Stato spazza via anche altri argomenti utilizzati dalle coppie che avevano presentato il ricorso contro la decisione di annullare le trascrizioni di Marino a ottobre 2014. La convenzione internazionale o un trattato condiviso dalle diplomazie. Le coppie che avevano fatto ricorso contro l’annullamento delle trascrizioni voluto dalla prefettura (all’epoca il prefetto era Giuseppe Pecoraro) avevano infatti obiettato che il rispetto dei diritti e delle libertà sanciti in atti europei o trattati internazionali fossero vincolanti per le autorità italiane. Anche qui la risposta è negativa: «Non appare in definitiva configurabile allo stato del diritto convenzionale europeo e sovranazionale un diritto fondamentale al matrimonio omosessuale». Respinta anche l’obiezione di chi aveva parlato di una violazione delle libertà di circolazione e di soggiorno. Non c’è «alcuna previsione degli stati europei in merito».
Ultima questione. Il rapporto tra autorità politiche e amministrative. Il sindaco Ignazio Marino aveva negato il potere di annullamento del prefetto, riconoscendo tale potere solo al giudice ordinario. Il giudizio di secondo grado ripaga il prefetto. E lo fa spiegando che tra le sue prerogative c’è anche quella «generale di autotutela sugli atti adottati contra legem dall’organo subordinato».