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 2015  ottobre 24 Sabato calendario

La Bce rafforzerà il Quantitative easing. Parola di Draghi

Mario Draghi è già pronto per il regalo di Natale. Giovedì 22 ottobre, al termine del consiglio direttivo riunitosi a Malta, ha detto che la Bce il 3 dicembre «riesaminerà il livello di adattamento della politica monetaria», aggiungendo che ci sono rischi al ribasso sia per la crescita che per l’inflazione.
Tradotto: la Bce rafforzerà il Quantitative easing. Le dichiarazioni di Draghi sono state accolte con un brillante rialzo delle borse. Tradizionalmente per i mercati azionari il periodo che va da novembre ad aprile è migliore di quello che va da maggio a ottobre. Siamo insomma all’inizio della stagione migliore per le borse e le parole di Draghi, se verranno seguite dai fatti (il caso contrario sarebbe possibile solo in seguito a una serie inaspettata di eventi molto positivi, di cui purtroppo non si vede l’ombra), renderanno ancora più pimpante quello che a Wall Street tradizionalmente chiamano il rally di Halloween, che parte a novembre e dura fino ad aprile prima di una fase di prese di profitto da maggio a ottobre (vedere grafici in pagina in cui l’indice è applicato anche al Ftse Mib che negli ultimi quattro anni lo ha rispettato tre volte).
Le dichiarazioni del presidente della Bce hanno subito riportato lo spread dell’Italia sotto quota 100, cosa che non succedeva dal marzo scorso, mentre il rendimento dei titoli di Stato biennali italiani e spagnoli è sceso sotto zero.
E l’euro è sceso a 1,10 dollari. Fino all’incontro di Malta si parlava di una moneta unica diretta verso quota 1,20, mentre ora si torna a guardare alla parità con il biglietto verde. Come ha osservato Nick Kounis, capo della ricerca macroeconomica di Abn Amro Bank, la decisione di non alzare i tassi d’interesse presa dalla Federal Reserve lo scorso 17 settembre ha indebolito il dollaro nei confronti dell’euro, mettendo la zona della moneta unica nella difficile prospettiva di subire una frenata delle esportazioni e un aumento delle pressioni deflazionistiche a causa del calo dei prezzi delle importazioni. Draghi ha quindi risposto facendo capire che rafforzerà il Qe il prossimo 3 dicembre, indebolendo così l’euro. La mossa dovrebbe costringere la Fed a non alzare i tassi nemmeno nella riunione del comitato di politica monetaria (Fomc) in programma il 16 dicembre. Se lo facesse, infatti, il primo effetto sarebbe quello di far salire alle stelle il dollaro, cosa che Washington non può permettersi, visto che la ripresa Usa non è soddisfacente, a dispetto del basso tasso di disoccupazione, e anche l’altra sponda dell’Atlantico è minacciata dalla deflazione. Non è certo contento delle dichiarazione di Draghi chi ha scommesso su un rialzo dei tassi Usa entro la fine dell’anno, eventualità peraltro preannunciata dalla presidentessa della Fed Janet Yellen. Ma poi la frenata agostana dell’economia cinese, con tutto quello che ne è seguito, ha fatto soprassedere la banca centrale statunitense.
Restano ancora alcuni ultrà favorevoli a un aumento del costo denaro a dicembre, come Steve Barrow, strategist di Standard Bank Group, convinto che il rally borsistico innescato dalle parole di Draghi sarà «una cortina fumogena che consentirà alla Fed di alzare i tassi» dopo averli lasciati invariati tra lo 0 e lo 0,25% dal dicembre 2008 a oggi. Con tutta la buona volontà, è davvero difficile immaginare che la maggioranza del Fomc la pensi allo stesso modo. Il ragionamento secondo cui la Fed dovrebbe aumentare il costo del denaro per lanciare un messaggio di ottimismo dimostrando che l’economia Usa è ormai in grado di reggersi sulle proprie gambe è sempre più surreale, mentre continuano a essere riviste al ribasso le stime di crescita di tutti i Paesi del mondo, a eccezione dell’Italia. Non per niente qualche esponente del Fomc ha detto di non escludere addirittura tassi sotto zero. Per quanto riguarda la Bce, quelli sui depositi sono già sotto zero, al -0,20%, e Draghi ha detto che a Malta si è discusso di abbassarli ulteriormente. L’intento è chiaramente quello di spingere le banche a non depositare la loro liquidità nella Bce, in quanto ciò diventerebbe sempre più costoso, per indirizzarla invece verso le imprese e le famiglie. È pero molto alto il rischio che la usino invece per acquistare titoli di Stato poiché in questo caso è certo che il capitale verrà rimborsato. Ma con i rendimenti dei bond sovrani sempre più bassi (in molti casi sotto zero) gli investitori sono spinti verso il mercato azionario. Al riguardo, Nick Nelson e Karen Olney, analisti di Ubs, hanno osservato che un ulteriore allentamento monetario della Bce favorirebbe in particolare «i mercati azionari di Italia, Spagna e Portogallo, dove vediamo il maggiore potenziale per un rimbalzo degli utili aziendali, visto che ora viaggiano il 40-65% sotto i massimi del 2007». Come al solito, quindi, la nuova ondata di liquidità in arrivo servirà a fare salire le borse. All’economia reale si penserà in un secondo tempo, anche perché dovrebbero provvedervi i governi con le mitiche riforme, che però, almeno nell’immediato, hanno tutte effetti recessivi. Può sembrare paradossale, ma la realtà è che non si è fatto un passo avanti rispetto al dicembre 2008, quando, a seguito della bancarotta di Lehman Brothers a settembre, la Fed portò per la prima volta a zero il costo del denaro. Dopo sette anni, la stessa Fed non solo non alza i tassi ma addirittura non esclude di portarli sotto zero. Nel frattempo è venuto meno anche il miracolo economico in Cina, dove la Banca centrale venerdì 23 ha tagliato di 25 punti base il tasso benchmark a un anno sui finanziamenti (dal 4,60% al 4,35%); si tratta della sesta riduzione da novembre 2014. Nel terzo trimestre il pil è cresciuto del 6,9%, segnalando un rallentamento non drammatico, ma la reazione della Banca centrale ha indotto molti osservatori a sospettare che la frenata sia in realtà molto più forte.
Della partita ci fanno poi parte gli altri Paesi emergenti, terrorizzati da un rialzo dei tassi Usa, che rischierebbe di mandare in default molte loro società che hanno emesso bond denominati in dollari. A settembre hanno ringraziato Yellen per avere rinviato l’aumento del costo del denaro, innalzandola al ruolo di governatrice centrale mondiale, visto che sulla sua decisione ha pesato anche la loro situazione. Ora il suo posto è stato preso da Draghi, che con le sue dichiarazioni ha reso quasi impossibile per la stessa Yellen alzare i tassi a dicembre. Eroe delle borse mondiali e dei Paesi emergenti, quindi, Draghi può commettere un solo errore: suscitare sui mercati eccessive aspettative, che verrebbero inevitabilmente seguite da un’ondata di delusione al momento della mossa di dicembre. Come ha osservato Kounis di Abn Amro, per la riunione del 3 dicembre le ipotesi sul tavolo sono quattro: la Bce non si muove nel 2015, scenario «negativo per gli asset rischiosi e gli spread»; estensione temporale del Quantitative easing senza misure ulteriori, ipotesi che potrebbe essere «leggermente deludente per i mercati»; aumento degli acquisti mensili ed estensione temporale del Qe, mosse che «avrebbero un effetto significativo, sostenendo gli asset rischiosi e riducendo gli spread»; aumento degli acquisti mensili ed estensione temporale del Qe abbinati a un taglio dei tassi sui depositi, scenario che «avrebbe gli effetti più potenti, nella stessa direzione dello scenario numero 3 ma con maggior effetto».
Il taglio dei tassi sui depositi è ritenuto molto probabile da Franck Dixmier, cio di Allianz Global Investors: il motivo è che i costi di finanziamento dei titoli di Stato biennali di Francia, Olanda, Austria, Finlandia, Belgio e Irlanda sono tutti al di sotto del -0,20%, livello attuale del tasso sui depositi della Bce. Anche gli strategist di Deutsche Bank stimano che la Bce taglierà di 10 punti base il tasso sui depositi al -0,30% e contemporaneamente l’Istituto di Francoforte estenderà il Qe di altri sei mesi. Joerg Kraemer e Michael Schubert, economisti di Commerzbank, hanno invece sottolineato che il problema principale dell’aumento del Qe, che ora avviene al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, è l’eventuale scarsità di asset da comprare. Al momento gli acquisti di bond vengono effettuati in proporzione alla quota dei vari Paesi nel capitale della Bce. Ciò significa che i titoli di Stato più comprati sono quelli tedeschi, sempre più scarsi sui mercati grazie al surplus di bilancio di Berlino.
Per aumentare gli acquisti quindi bisogna cambiare la composizione del Qe, concentrandoli sui Paesi più bisognosi, ovvero Italia e Spagna. Difficile convincere il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, a meno che l’aumento non sia condizionato all’attuazione delle famose riforme e al pieno rispetto del Fiscal Compact. Cosa che verrebbe accolta male dal governo italiano e risulterebbe poco opportuna per Madrid, visto che a dicembre in Spagna ci saranno le elezioni e una mossa del genere, che implica più austerità, potrebbe favorire il successo dei partiti eurocritici, come Podemos. Si potrebbe in alternativa allargare la platea delle società di cui si possono comprare i bond; per ora il Qe riguarda solo quelle con un’importante partecipazione dello Stato, come Enel e Fs in Italia. Coinvolgere anche le imprese private è però delicato, in quanto la scelta di quali mettere nell’elenco presterebbe il fianco ad accuse di clientelismo. Ma da qui al 3 dicembre c’è tutto il tempo per risolvere questi problemi.