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 2015  ottobre 24 Sabato calendario

Il paradosso delle banche che giocano con i tassi negativi

Tassi negativi. Sembrano un controsenso: la banca che paga il creditore che chiede soldi in prestito o, al contrario, si fa pagare dal risparmiatore per il deposito dei soldi, in sostanza per risparmiare.
È paradossale, ma in questa fase di forte disinflazione succede già, e potrebbe accadere sempre più spesso, e non si tratta di momentanee “anomalie” dei mercati. Se i rendimenti di diversi titoli di Stato sono negativi da diverso tempo, anche il tasso ufficiale sui depositi alla Bce è negativo (-0,2%) da giugno 2014 e a dicembre potrebbe essere ulteriormente abbassato (con la curiosa conseguenza che la Banca centrale di Francoforte compra titoli dalle aziende di credito e poi fa pagare gli interessi sulla somma loro versata in pagamento, almeno finché resta nei suoi “forzieri”). Negli Stati Uniti, un governatore della Fed vivace e ascoltato – Narayana Kocherlakota – li ha proposti addirittura per gli Stati Uniti malgrado a Washington si parli da tempo di iniziare ad alzare i tassi e non certo di abbassarli.
In alcuni piccoli paesi europei l’esperienza di tassi ufficiali negativo dura da tempo. La Dansmark Nationalsbank ha introdotto tassi negativi sui certificati di deposito da luglio 2012 ad aprile 2014 e poi di nuovo da settembre 2014, portandoli fino all’attuale -0,75%: il paese ha il vincolo di far muovere il cambio euro/corona entro un corridoio relativamente stretto e la sua politica monetaria è quindi fortemente condizionata da quella di Francoforte di cui deve seguire l’orientamento espansivo.
Per ragioni analoghe – la necessità di non far apprezzare troppo il franco – e pur in assenza di vincoli internazionali, la Svizzera ha portato il corridoio per il suo tasso di riferimento, il Libor a tre mesi, verso i tassi negativi in due passi: nel primo, a dicembre 2014, il tetto era ancora positivo, allo 0,25% e il pavimento al -0,75; nel secondo, a gennaio 2015, il Libor è stato costretto a correre tra un massimo di -0,25% e un minimo da -1,25%. In concreto, il tasso di riferimento svizzero si è mosso in terrotorio negativo ininterrottamente dal 18 dicembre 2014, raggiungendo un minimo al -0,96% a gennaio (ora si è stabilizzato al -0,72%).
Un po’ diversa la storia della Svezia (anch’essa però molto attenta al suo cambio per la sua forte apertura internazionale): per timore del rincaro del petrolio, la Riksbank ha alzato i tassi – sbagliando – sia a metà 2008 sia, molto rapidamente, nel 2010. Il risultato è stata una prolungata disinflazione, seguita a partire dal 2013 da una flessione dei prezzi. I tassi che erano saliti fino al 2%, sono rapidamente calati da dicembre 2011 a fine 2014 fino a zero, per poi scendere sotto zero a marzo 2015. Oggi sono al -0,35 per cento.
In tutti i casi il cambio sembra il fattore determinante: introdurre un tasso penalizzante è un forte incentivo per gli investitori a trovare occasioni di investimenti finanziario all’estero e quindi a vendere valuta nazionale. La Bce ha bisogno di riportare l’euro a livelli meno elevati – da aprile l’apprezzamento del cambio effettivo è stato del 5,9%, poi sceso al 4,3% dopo le parole di Draghi di giovedì – e non a caso a ventilato sia tassi ulteriormente negativi sia un aumento delle dimensioni del bilancio della banca: le due misure che hanno effetti sul cambio. Nei tre piccoli paesi europei, però, i risultati non sono stati entusiasmanti: se la corona danese è rimasta nel corridoio a lei attribuito, la corona svedese è ancora molto cara, e così il franco svizzero.
La misura dei tassi negativi non è inoltre senza costi. Non sembra – e in questo il presidente della Bce Mario Draghi ha ragione – che le banche commerciali abbiano “scaricato” sui clienti gli oneri derivanti dai tassi negativi: non in Eurolandia, né negli altri paesi. A preoccupare, piuttosto, è l’aumento dei prezzi delle case in Danimarca – dal 40% al 60% da metà 2012 – e in Svezia – + 14% solo negli ultimi dodici mesi – dove hanno raggiunto i massimi storici. In Svizzera stanno rallentando, dopo essere saliti del 28% tra il 2008 e il 2013, ma in questo paese sono stati introdotti limiti alla concessione dei mutui. È noto che tassi bassi troppo a lungo, o comunque politiche ultraespansive portano innanzitutto inflazione finanziaria. Le case sono il primo candidato e il loro prezzo andrà esaminato con grande attenzione.