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 2015  ottobre 25 Domenica calendario

Gli Stati Uniti e il problema del debito, tra modelli danesi e complotti monetario

Uno dei grandi momenti del recente dibattito fra i candidati democratici alla nomination per la Casa Bianca, almeno per noi che pensiamo che l’America abbia qualcosa da imparare dagli altri Paesi, è stato lo scambio di battute sulla Danimarca. Il senatore Bernie Sanders ha detto che vuole che l’America diventi più simile alla Danimarca, mentre Hillary Clinton era un tantino scettica, ma ha concordato che la Danimarca è un modello valido. Ed è vero! 
La Danimarca ha saputo combinare tasse alte e un forte Stato sociale con un’occupazione elevata e una produttività alta. È la dimostrazione che uno Stato sociale forte può funzionare. Ma vale la pena osservare che dallo scoppio della crisi finanziaria globale la Danimarca è andata molto male, con una pesante recessione e una ripresa molto fiacca. Il suo Pil pro capite è al di sotto dei livelli antecrisi quanto quello di Portogallo o Spagna, anche se la popolazione ha sofferto molto meno. Perché ? 
La risposta, in parte, può essere l’elevato livello di indebitamento delle famiglie. Ma anche la Svezia ha un indebitamento privato elevato, e nonostante i passi falsi di politica monetaria ha fatto molto meglio dei suoi vicini del sud. 
La mia ipotesi è che la Danimarca sta pagando un prezzo elevato per aver seguito le orme dell’euro e per aver seguito negli ultimi anni una politica di rigore di bilancio nonostante costi di indebitamento estremamente bassi. 
Tutto questo non c’entra molto con la questione dello Stato sociale: la politica macroeconomica di breve termine è un argomento diverso. Ma può essere utile tenerlo a mente, nel caso qualcuno pensi che la Danimarca sia un modello da imitare sotto tutti i punti di vista. 
Secondo l’osservatorio sondaggi dell’Huffington Post, non c’è ancora il minimo segnale di un ritorno verso i candidati dell’establishment all’interno del Partito repubblicano. Al contrario, il triumvirato dei pazzi – Donald Trump, Ben Carson e Ted Cruz – ha tre volte più consenso di Jeb Bush, Marco Rubio e John Kasich messi insieme. Straordinario. 
Ma allora perché gli elettori del Grand Old Party non si rendono conto che queste persone sono dei pazzi? Forse perché le cose che dicono non sono poi così diverse da quelle che dicono i repubblicani che vengono spacciati per ragionevoli. Un esempio fra tutti: Donaldone se ne è appena uscito con una bella teoria del complotto monetario. Secondo mister Trump, la ragione per cui la Federal Reserve non ha alzato i tassi di interesse non ha niente a che vedere con il fatto che l’inflazione è bassa e la situazione economica mondiale è negativa: la verità è che la presidente della Banca centrale Usa, Janet Yellen, sta solo facendo un favore politico al presidente Obama. È un’assurdità, siete d’accordo? 
Ma concretamente, che differenza c’è fra questa affermazione e il deputato Paul Ryan e il professore di economia John Taylor che nel 2010 sostenevano, su Investors.com, che l’allentamento quantitativo non era uno sforzo in buona fede per sostenere un’economia debole, ma un tentativo di «bailout della politica di bilancio» di Obama, per prevenire la crisi dei conti pubblici che le politiche della Casa Bianca, secondo loro, avrebbero sicuramente prodotto? 
La differenza fra i Repubblicani dell’establishment e quelli come Trump, in altre parole, non sta tanto nella sostanza di quello che dicono, quanto nei toni. Dovremmo credere che Bush, Rubio e Ryan sono moderati perché lasciano intendere le loro teorie del complotto invece di urlarle a tutto campo, e perché parlano di voodoo economics con la faccia seria. Ma perché stupirsi che la base del Partito repubblicano non capisca in che modo questo li renda candidati più plausibili?