Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 25 Domenica calendario

21.550.546 euro per un Fontana. Il maestro dei tagli e dei Concetti spaziali verrà consacrato al Whitney di New York nel 2017. Ma intanto lo si può vedere alla Fondazione Prada e allo Spazio Marconi a Milano, a Palazzo Strozzi a Firenze o al 46 di Albemarle Street a Londra

Sarà il Metropolitan di New York a consacrare definitivamente, nel 2017, Lucio Fontana, l’artista dei tagli e dei Concetti spaziali, da sempre molto amato e desiderato dai grandi collezionisti statunitensi e non solo. Una decisione importante, anticipata dalle indiscrezioni pubblicate da «The Art Newspaper», considerato che per la celebrazione è stata oltretutto scelta la storica sede del Whitney Museum, tra Madison Avenue e la 57esima Strada, di recente assorbita dal Met e che dal prossimo marzo si chiamerà Met-Breuer, in omaggio a Marcel Breuer, progettista del vecchio museo. Il Whitney, infatti, è sempre stato considerato il museo «per eccellenza» dell’arte moderna e contemporanea made in Usa (oltre 21 mila opere in collezione) mentre tra due anni ospiterà una monografica dedicata a uno «straniero»: Fontana era nato a Rosario di Santa Fe in Argentina nel 1899, da genitori italiani, aveva vissuto e lavorato a Milano, morì nel 1968 a Comabbio, un piccolo paese in provincia di Varese. 
Di fatto si tratta della prima grande mostra dedicata negli Usa all’artista dei Concetti spaziali, dopo le due «piccole» esposizioni del 1977 e del 2006 al Guggenheim, sempre a New York. Un omaggio che in fondo trova la sua ragione nei 21.550.546 euro appena battuti da Sotheby’s a Londra per quel Concetto Spaziale. La Fine di Dio del 1963, un uovo record mondiale per Lucio Fontana: una grande tela nera, una delle trentotto della stessa misura (177×123 centimetri) eseguite dall’artista tra il 1963 e il 1964, «un corpus di opere spietate, aggressive e maestose che annunciano la fine di un’era e l’alba di una nuova» (a ispirare la serie sarebbe stato il viaggio nello spazio di Yuri Gagarin nel 1961). Dunque, la scelta del Met-Breuer non fa altro che assecondare la tendenza di un mercato che mette sempre di più Fontana nel mirino di collezionisti, case d’aste e musei. Mentre, in parallelo, il numero dei compratori americani nelle Italian Sale di Sotheby’s e Christie’s si è più che duplicato negli ultimi cinque anni: 54.612.674 euro è stato il «valore totale» della stessa sessione che ha incoronato la Fine di Dio, un altro record battuto (tra i top della serata Burri, Scheggi, Castellani, Kounellis).
Il percorso che (finalmente) porterà Fontana alla grande retrospettiva newyorkese comincia davvero da molto lontano. Tanto per parlare solo dei musei e delle gallerie che hanno ospitato sue monografiche l’elenco è lunghissimo: Stedelijk di Amsterdam (1967-68), Moderna Museet di Stoccolma (1967), Galleria Civica d’arte moderna di Torino (1970), Palazzo Reale di Milano (1972), Palais des Beaux-Arts (1972), Centre Pompidou di Parigi (1987-88), Galleria comunale di Bologna (1991), Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1994-95), Permanente di Milano (1996), Reina Sofía di Madrid (1998), Palazzo Forti di Verona (2002-3), Museo di Stato di San Pietroburgo (2006), Galleria d’arte moderna e contemporanea di Roma (2008), Palazzo Ducale di Genova (2008-9), Peggy Guggenheim di Venezia (2009), Museo del Novecento di Milano (dove da ottobre 2014 a marzo 2015 è andato in scena un affascinante confronto con Yves Klein). 
Tanto per dimostrare l’universalità di questa febbre, Fontana si ritrova attualmente «autorevole comprimario» di due mostre all’apparenza tra loro lontanissime per impostazione e opere esposte. Nella Galleria Nord della Fondazione Prada di Milano (fino al 1° novembre) c’è così In Part, curata da Nicholas Cullinan, incentrata sul tema del «corpo frammentato» dell’arte e che propone una serie di opere provenienti dalla stessa collezione Prada: da Pino Pascali a John Baldessari, da Francesco Vezzoli a David Hockney fino appunto a Fontana presente con una enorme Testa di Medusa (scultura in mosaico nero e oro realizzata tra il 1948 e il 1954). Mentre a Firenze, alla fondazione Palazzo Strozzi (fino al 24 gennaio), è aperta Bellezza divina, itinerario artistico ideale attraverso la rappresentazione del sacro tra van Gogh, Chagall e, guarda caso, Fontana: presente in questo caso con alcune Stazioni della sua Via Crucis in ceramica (realizzata tra il 1955 e il 1956) destinata alla cappella dell’istituto Ada Bolchini dell’Acqua di Milano (progettata da Marco Zanuso) e «che testimonia – spiegano i curatori – il passaggio dell’artista dalla dimensione figurativa a quella astratta, mentre quelle fenditure slabbrate che incidono la materia non sarebbero altro che la premessa ai tagli successivamente realizzati dall’artista a partire dal 1958». 
A Milano, allo Spazio Marconi (fino a sabato prossimo, 31 ottobre), va intanto in scena l’ Omaggio a Fontana, realizzato dalla Fondazione Lucio Fontana e dalla Fondazione Marconi che insieme presentano una serie di inediti per certi versi sorprendenti. Per la prima volta in Europa, ad esempio, è stata così esposta l’opera Concetto spaziale, Trinità nell’allestimento che l’artista stesso aveva elaborato in alcuni disegni del 1966, ma che non riuscì mai a vedere compiuto. Proprio nella realizzazione di questo «desiderio» si ritrova il significato dell’omaggio che le due Fondazioni hanno voluto rendere all’artista. Visto che Concetto spaziale, Trinità (1966) è un’opera imponente nella produzione di Lucio Fontana sia per le dimensioni (due metri per due ognuno dei tre elementi) «sia per la lucida e rigorosa composizione che rimanda, attraverso la purezza del monocromo bianco, a una dimensione di infinito». Un infinito «disseminato da una teoria di buchi», un trittico che vuole «rappresentare la personalissima riflessione dell’artista, laica e poetica, sull’assoluto». 
L’allestimento dell’opera immaginato dall’artista in un disegno-progetto del 1966, anch’esso esposto per l’occasione, è stato realizzato fedelmente. E si tratta di un allestimento davvero emozionante: con le tele monocromatiche, messe in risalto dai teli di plastica azzurra, appese a partire dal soffitto e racchiuse entro uno spazio scenico di 17 metri, «che rimanda – nelle intenzioni degli organizzatori – a una dimensione di purezza e di spazialità assoluta». A completare il percorso espositivo, un nucleo di opere comprese tra il 1951 e il 1968 che offrono un’idea dell’attività creativa di Fontana, capace di spaziare tra la figurazione e le istanze più astratte, sperimentando le potenzialità di tecniche e materiali sempre nuovi. Tra queste figurano il «gesso», Concetto spaziale del 1957; il Concetto spaziale del 1953 dalla serie delle «pietre»; il «taglio» Concetto spaziale, Attese del 1964; una selezione di grandi «teatrini» del 1965; alcune «carte assorbenti» e le sculture in metallo laccato ancora una volta intitolate Concetto spaziale, del 1967. In tutte queste opere, spiegano i responsabili delle due Fondazioni che hanno organizzato l’omaggio, «si possono riconoscere l’autenticità e la forza creativa del gesto di Fontana». 

Per l’apertura del nuovo spazio della galleria al 46 di Albemarle Street a Mayfair a Londra, Tornabuoni Arte presenta invece la prima mostra personale di Lucio Fontana (fino al 28 novembre): quaranta opere simbolo dell’artista che amava definire così il suo lavoro: «Io buco, passa l’infinito da lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere, tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto» (in seguito sono già in programma una collettiva di maestri italiani degli anni 50 e 60, una personale di Alighiero Boetti, la prima mostra a Londra di Luca Pignatelli e personali di Arnaldo Pomodoro e della giovane artista Francesca Pasquali). Le opere esposte illustrano in pratica le più celebri serie di Fontana (Barocco, Attese in bianco, Concetti spaziali). Con qualche bella sorpresa: a cominciare da un velluto nero con pietre del 1956, senza dubbio uno dei più emblematici e misteriosi lavori di Fontana.