il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2015
Pablo Iglesias, il leader di Podemos spiega come il movimento riesce a rimanere popolare sfuggendo alle logiche di partito tradizionale: «Il 15M non è il ritorno della sinistra, non è la vendetta della sinistra. Il 15M non rappresenta i sindacati che difendono i diritti in un contesto di attacco allo Stato sociale»
Questo è uno stralcio del lungo colloquio di Pablo Iglesias con il giornalista Fernando Vallespín, nell’ultimo numero della rivista MicroMega, appena uscito il libreria.
C’è qualcosa che credo spieghi buona parte delle debolezze e delle virtù di Podemos, e forse la sua unicità rispetto ad altre espressioni politiche con cui potremmo eventualmente stringere alleanze, quali il partito laburista guidato da Jeremy Corbyn o Syriza, oppure anche, forse, il Movimento 5 Stelle. Con alcuni di loro abbiamo un buon rapporto. Alcuni di questi partiti rappresentano tradizioni diverse della sinistra europea. A mio giudizio, la vittoria della leadership del Labour da parte di Corbyn è l’avvenimento più interessante in Europa da molto tempo a questa parte. Siamo una generazione nata in un mondo in cui Norberto Bobbio, con il suo libro Destra e sinistra, aveva già spiegato che le categorie destra/sinistra dopo la caduta del Muro di Berlino erano una cosa molto complicata da mantenere in pratica e in cui la sconfitta dei valori di sinistra era assoluta di fronte al successo sociale del neoliberismo.
Gli Indignados trasversali
Arriva il 15M (Il movimento 15M, noto come di Indignados, è una mobilitazione di protesta pacifica di cittadini contro il governo spagnolo in seguito alla grave situazione economica in cui versa il paese. Le prime mobilitazioni sono del 15 maggio 2011, da cui il nome 15M ndr) e noi lo osserviamo molto dubbiosi. Dall’inizio decidiamo che quel movimento non ci rappresenta. Il 15M non è il ritorno della sinistra, non è la vendetta della sinistra. Il 15M non rappresenta i sindacati che difendono i diritti in un contesto di attacco allo Stato sociale. Il 15M è l’espressione della frustrazione politica delle nuove classi medie che, inoltre, non ha necessariamente una lettura progressista. È la conferma che esiste uno scenario politico nuovo, che non deve per forza avere implicazioni elettorali immediate. Scenari politici simili si sono visti in Italia con il Movimento 5 Stelle; in Israele si è creata una situazione analoga che si è tradotta in politica in modo molto speciale; in Francia è il Front National a mettere sul tavolo tutte le questione riguardanti la crisi; e in Spagna la risposta la offriamo noi. E questo lo facciamo tramite un’espressione politica, diciamo, molto singolare.
Riguarda il protagonismo mediatico, l’assunto che lo scenario politico più importante sia quello della comunicazione. La gente non milita nei partiti. La gente milita nella radio che ascolta. Uno è della Cope, un altro è della Ser, o della Onda Cero2. Uno vota El País, La Razón, El Mundo. Oppure vota la Sexta, o Telecinco, e diciamo che tutti loro si avvicinano a quello che Antonio Gramsci chiamava “l’intellettuale organico”. O interveniamo lì, o siamo politicamente morti. All’inizio abbiamo creato più che un partito politico propriamente detto uno stile di intervento mediatico, perché non avevamo nemmeno mezzi di comunicazione a nostra disposizione.
Attaccare da subito le idee tradizionali
Dal momento della sua nascita Podemos attacca la sinistra, mette in evidenza che la sinistra non ha capito nulla. La sinistra si è accomodata in una posizione sussidiaria in cui si accontenta di avere tra il 5 e il 12 per cento dei voti al massimo, e questi sono i temi dei dibattiti interni alla sinistra, andare al governo con i socialdemocratici e con i socialisti. Tutta la crisi della sinistra si basa sull’entità della collaborazione con i socialisti, la comparsa della nuova sinistra unita e tutte le tensioni interne che girano attorno a quel modello. Noi riteniamo che non dovrebbe funzionare così. Se il modello destra/sinistra è quello usato per spiegare le cose, per quanto sia radicato è un modello in cui usciamo perdenti.
Se in qualche modo noi rivendichiamo il fatto di essere la sinistra, o la sinistra vera, o cerchiamo di convincere la gente che è la sinistra ciò di cui ha bisogno, allora regaleremmo all’avversario un terreno di gioco in cui non vinceremo mai. C’è un esempio molto chiaro delle possibilità e dei limiti di Podemos: il dibattito televisivo che ha avuto luogo prima delle elezioni europee, il dibattito dei partiti minori, il primo a cui mi hanno lasciato andare in qualità di candidato. E lì anniento il povero Alejo Vidal Cuadras, uomo molto preparato e molto intelligente, ma che essendo onesto commette un errore. Tiro fuori il tema dei viaggi in business class e allora lui dice: “Io sono un eurodeputato, viaggio tutte le settimane, me lo paga il parlamento europeo, non è poi molto più caro della classe turistica, perciò continuerò a viaggiare in business class”. Lì si è suicidato. Non ho vinto parlando di Maastricht o della moneta unica, o dicendo che è scandaloso che la Banca centrale europea non risponda a nessuna istituzione democratica, ma presentandolo come un privilegiato. Questa è la chiave del successo di Podemos e anche la chiave dei nostri limiti e fino a dove possiamo arrivare. È la prova che non sono i valori di sinistra gli ingredienti che ci servono per costruire una maggioranza sociale.
Ascoltare anche i conservatori
Ieri, in un ristorante cinese un padre di famiglia si è messo a parlare con me e mi diceva: “Io vi sostengo, ma fate errori sciocchi. Questa cosa che Ada Colau vuole togliere il ritratto del re è un’idiozia. A me piace il re”. Questo signore è molto più rappresentativo di quello che pensa la gente e rivela le cose che abbiamo fatto bene e le cose che abbiamo fatto male. I nostri gesti di sinistra ci collocano là dove vuole l’avversario, quando quello che ci può far crescere elettoralmente è la nostra audacia al momento di impostare il dibattito su altri termini.