il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2015
Il freddo autunno di Mirafiori. Viaggio alla Fiat di Torino, una città ormai addormentata «tra i filari di palazzi dormitorio piantati a terra come stalagmiti»
Difficile definire un non luogo. È più facile dargli un nome. A Torino, per esempio, potrebbe chiamarsi strada della Manta. È l’unica via non perimetrale a violare i confini dell’enorme città proibita chiamata Fiat Mirafiori. Strada della Manta è un lembo di cemento infilato come una lama tra due mura: da una parte, ancora, la Grande Fabbrica, dall’altra un silenzio scheletrizzato di prefabbricati in rovina avvolti dalle erbacce. Ex Officine riparazioni, un piccolissimo pezzo ma potrebbe essere il tutto: oltre l’altro muro di strada della Manta ci sono due milioni di metri quadri di fabbrica. Chissà quanti sono nelle stesse condizioni.
Il quartiere, Mirafiori Sud, ha sempre affiancato i destini della Fiat. Qui c’erano le “vie sbagliate” come via Millelire (che diede anche il titolo a un film del 1980, La ragazza di via Millelire), c’era via Artom che, se Nanni Moretti avesse girato a Torino, sarebbe stata l’equivalente della Spinaceto di Caro Diario. Qui in corso Traiano, nel 1969, c’era il vortice dell’autunno caldo.
C’era una città intera che ora pare addormentata tra i filari di palazzi dormitorio piantati a terra come stalagmiti: “Vedi – racconta Stefano Di Polito, regista di Mirafiori Luna Park, piccolo film evento di questi mesi – qui stanno preparando una festa di quartiere. Avrebbe dovuto essere nel 2020, per i 50 anni di questo circolo ricreativo. Ma hanno deciso di anticipare e festeggiare il 45º, tra cinque anni chissà se esisterà ancora”.
Questa è l’aria che si respira tra le case popolari di via Roveda: “Qui – ancora Di Polito – avevano tentato un mix sociale: da una parte gli operai, dall’altra i poliziotti. Ora gli operai sono in via di estinzione e gli agenti immobiliari li guardano con sospetto. Chi lavora nell’automotive è considerato a rischio insolvenza”.
Mirafiori Sud è un posto immensamente più accogliente di quanto non fosse anche solo 20-25 anni fa. Eppure il quartiere costruito per gli operai, adesso, li rifiuta. La Grande Fabbrica è stata punita. E con lei il suo Villaggio: “Qui dentro – racconta Giorgio Airaudo, ex segretario della Fiom, ora parlamentare che molti ora vorrebbero candidato sindaco di Torino nel 2016 – ci sono 11 km di strade sotterranee e 20 km di ferrovia. È il più antico stabilimento d’Europa, figlio di un gigantismo novecentesco fuori tempo, certo, ma non per questo va fatto sprofondare”. Airaudo sfoglia alcune slide firmate Fiom, una mappa dello Stabilimento: i quadratini bianconeri che indicano le “aree inutilizzate” sono la maggioranza. Il rosso del lavoro colora ancora le Carrozzerie di fronte alla Porta 2, qualcosa delle Presse e delle Meccaniche al di là di via Settembrini e i nuovi insediamenti di Politecnico, Fiat Power Train e Centro Stile Abarth, poco rispetto a quanto si magnificava anni fa. Un’altra slide fa il conto dei lavoratori: poco più di 5 mila alle Carrozzerie, meno di mille alle Presse, 4 mila e più alle Strutture tecniche e commerciale. Alla fine, contando le voci “Altri”, si arriva a circa 17 mila persone. Se anche nel 1991 erano quasi 60 mila, potrebbe sembrare un numero importante. Lo è, ma colpisce la data delle slide: giugno 2008. Da allora è cambiato poco o nulla. Si tira a campare e il futuro non promette nulla: “Questa – ancora Airaudo – a parte Termini Imerese, è l’unica fabbrica italiana che non è mai veramente ripartita. Melfi e Cassino, pur a prezzo di condizioni molto gravose, marciano. Qui è rimasta un po’ di Alfa Mito fino a che dura. Ora aspettiamo la Maserati Levanto…”. Proprio in quel momento, dai cancelli della Porta 2 delle Carrozzerie di Corso Tazzoli, esce un prototipo. È la Levanto. Eccolo, il cambio di missione. Dai grandi volumi all’alta gamma. Ma qui l’alta gamma si faceva già con Bertone e Pininfarina.
Per capire cosa si intenda per cambio di missione è sufficiente volgere lo sgurado alle ex Sellerie su corso Orbassana, dove oggi c’è il Mirafiori Motor Village, una specie di megastore dell’auto: “Lo volle Marchionne – racconta Airaudo – una buona idea per ridare vita a un pezzo di fabbrica. Era il 2007, allora le intenzioni erano sincere. Poi la crisi ha colto di sorpresa tutti”.
Il prototipo della Levanto rientra attraversando il mitico piazzale della Porta 2. Qui nel gennaio 2011 andò in onda l’ultima ribalta nazionale di Mirafiori, il referendum. Perse la Fiom, vinse Marchionne. Si disse che i lavoratori, accettando la rivoluzione dell’uomo con il maglioncino, avrebbero costruito il loro futuro: “E invece sono stati ingannati – sorride amaro Airaudo – È stato chiesto loro di accettare condizioni di lavoro più gravose perché le cose andassero meglio. Il risultato è che le condizioni si applicano ma le cose stanno come prima”.
L’età media degli operai e 53/56 anni. Tutti dovrebbero rientrare entro il 2018, ma per i volumi della Levanto sono sufficienti 2.500 persone.
È tempo di un ultimo giro per il borgo della Capitale decaduta: “Manca completamente la mia generazione – si guarda intorno il quarantenne Di Polito – ci sono solo vecchi e bambini, che però stanno a casa: gli asili sono vuoti. I genitori sono disoccupati o in cassa integrazione, hanno tempo”. Più in là, su corso Unione Sovietica, una scuola elementare: “Era la mia – conclude Stefano – i bambini facevano tre turni, come in fabbrica”. Storie di un altro secolo. E di un’altra città.