La Stampa, 26 ottobre 2015
Volkswagen comprerà meno di un tempo, tagli previsti nel 2017 per cinque miliardi. Un guaio per i fornitori italiani
Ogni giorno una notizia che aggiunge confusione a confusione. Mentre si fatica a individuare responsabili tra i top manager, uno degli sviluppatori di motori di Volkswagen, Hanno Jelden, potrebbe essere stato sospeso dal suo incarico per lo scandalo dei motori truccati. E mentre la questione dei costi resta ancora avvolta in una grande nebulosa, si mormora che Wolfsburg potrebbe proporre ai clienti, data la problematicità di sostituire il software incriminato, la possibilità di comprarsene una nuova a prezzi estremamente agevolati.
In questo contesto, il presidente della Camera di commercio italiana in Germania, Emanuele Gatti, aiuta a fare un po’ di chiarezza. Anzitutto sul fatto che è assurdo pensare che un eventuale terremoto che possa affondare Volkswagen sia anche lontanamente una buona notizia per l’Italia.
Presidente qualcuno sembra gioire dei guai che potrebbero colpire i tedeschi per lo scandalo Volkswagen.
«È veramente da miopi rallegrarsi delle disgrazie Volkswagen – che ha un importante indotto in Italia – e del cosiddetto “Dieselgate”. In Italia e in Germania la produzione industriale si stava riprendendo grazie all’automotive. Nei primi otto mesi di quest’anno la produzione delle auto è aumentata del 67 per cento in Italia, le proiezioni sul 2015 parlano di 250mila auto in più, rispetto al 2014. Quanto a Vw, vorrei ricordare che vanta moltissimi fornitori italiani. Ma sono quasi sempre di secondo, terzo livello, dunque più lontani dalla “centrale di comando”. Sono i più deboli, sono quelli che in caso di crisi rischiano di saltare per primi. E sappiamo già ora che Vw prevede 5 miliardi di risparmi sugli acquisti, nel 2017».
Non a caso lei ha istituito una task force alla Camera di commercio per studiare i possibili danni e costi dello scandalo, anche sull’Italia e sulle nostre aziende in Germania. Ma non è già dannoso per il mercato europeo dell’auto in generale, chiamarlo “Dieselgate”?
«Il fatto di chiamarlo genericamente “Dieselgate” crea danni anche perché assistiamo a una serie di trasformazioni epocali nella mobilità che potrebbero subire un’accelerazione. Si pensi al fatto che sempre più persone – i giovani soprattutto – preferiscono spendere soldi per uno smartphone o un viaggio piuttosto che per un’automobile. Le nostre città sono piene di opportunità per fare carsharing, bikesharing, ci sono servizi come Uber che fanno concorrenza ai taxi, e sempre più persone rinunciano del tutto alla macchina. Un altro mutamento potrebbe riguardare invece Volkswagen».
Cioè?
«Nel 2013 la profittabilità di Volkswagen per ogni auto era meno della metà di quella che riusciva a garantirsi Toyota. Anche il rapporto tra fatturato e dipendente era molto più basso. I giapponesi hanno proceduto negli anni a una estrema semplificazione dei modelli, contrariamente alla Vw. Dallo scandalo stiamo capendo che in Volkswagen c’è un’enorme variabilità dei motori. Io sono convinto che dovranno cambiare profondamente questo modo di fare le auto, la redditività è troppo bassa rispetto alla montagna di soldi che mettono nella ricerca».
Ma secondo lei è uno scandalo che può accelerare il passaggio all’ibrido o all’auto elettrica?
«Ne dubito. Per ora parliamo di numeri ridicoli. In Germania sono state immatricolate 2,4 milioni di auto nel 2014. Di queste, 20mila erano ibride, 6.000 elettriche. Cifre irrisorie».