Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 25 Domenica calendario

Federica Brignone vince il suo primo gigante di Coppa del Mondo

Ne ha fatta di strada, Federica. Era ancora una bimba e già sognava di imitare le prodezze della celebre mamma, Maria Rosa Quario, campionessa della valanga azzurra. Papà Daniele, maestro di sci, la mise subito in pista e lei decise che un giorno avrebbe conquistato Soelden. Proprio sulla difficile neve austriaca, la Brignone ieri è diventata «grande», regalandosi la sua prima vittoria nel gigante di coppa del mondo. Un capolavoro: di muscoli e di nervi, perché il ruolo di figlia d’arte talvolta è scomodo. La tecnica non basta, serve carattere. Il suo è ruvido e grintoso, a tratti scostante, ma sospinto da una determinazione non comune. Non ha filtri, Fede. Nella vita come sulla neve. Se non era mai arrivata sul gradino più alto del podio è solo per la sua ritrosia a tirare il freno, a mediare. La sua vita va a cento all’ora e controcorrente.
Maturità raggiunta
Federica Brignone ha iniziato presto a sfidare le regine. A 21 anni, Mondiali di Garmisch del 2011, talento e inconsapevolezza, si prese l’argento. Però non seppe capitalizzare il bottino. Seguirono le prime delusioni, le cadute, la stagione rovinata dalla cisti alla caviglia, e amarezze allietate solo da 4 secondi posti e 3 terzi. Dopo il flop ai Giochi e ai Mondiali di Vail, ha sopportato con insofferenza critiche e difficoltà che avrebbero stroncato chiunque. Non lei. Testarda e circondata dal cordone d’affetto della famiglia è ripartita. Chapeau. «Quando ho indossato il pettorale rosso da leader del gigante mi sono venute le lacrime per il brivido, era il sogno dell’infanzia». I cicli finiscono. Lei ne ha chiuso uno, quello del desiderio inappagato, per aprirne uno nuovo, vincente. Si è sbloccata: «Porta dopo porta mi sono accorta che era la mia occasione, dovevo prendermela». L’ha fatto con l’autorità dell’atleta di razza. I pezzi del suo vissuto come per incanto hanno disegnato un mosaico che entra nella storia azzurra (prima di lei l’ultimo trionfo italiano in gigante è stato di Denise Karbon nel 2008).
Generazione di mezzo
Un timing perfetto: mancavano le big Lindsey Vonn, Tina Maze e Anna Fenninger, Federica s’è infilata nello spazio vuoto. Il nuovo tecnico Gianluca Rulfi, dopo dieci anni con la squadra maschile di velocità, ha trasportato in rosa la mentalità vincente. Così la bambina che rovinava il pavimento di casa con gli sci piccoli piccoli a 25 anni è diventata una donna che ha preso in mano le redini del proprio destino: «Ho dovuto battere i fantasmi, quattro anni fa ero in testa dopo la prima manche e sono saltata nella seconda. Ora sono cresciuta». Mai banale Federica. Come non è stata banale la sua storia: se nella vita è abituata ad andare a tutta, praticando ogni tipo di attività fisica (non sa stare ferma), nello sci ha patito alti e bassi per conquistare un futuro luminoso. L’Italia sportiva ha fame di personaggi da copertina. Cerca gli eredi di «vecchietti» famosi, da Federica Pellegrini nel nuoto e Christof Innerhofer nello sci a Flavia Pennetta nel tennis. Sarà lei, la Federica delle nevi? «Non so ancora – dice – se entrerò in una nuova dimensione. Ma so che continuerò a lavorare per rimanere davanti».