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 2015  ottobre 25 Domenica calendario

Luci ed ombre dell’Argentina governata dai Kirchner. Si vota oggi

Tratto caratteristico delle economie emergenti, oltre a forte crescita, è la vulnerabilità alle crisi economiche e politiche, e pochi paesi meritano l’appellativo come l’Argentina. Dal ritorno della democrazia nel 1983, la denominazione della moneta è stata cambiata tre volte (e il peso ha perso otto zeri nel frattempo), il paese è andato tre volte in default e i presidenti sono stati otto, di cui due dimessisi anzitempo.
Le elezioni di oggi sono un test sull’epoca dei coniugi Kirchner che si sono succeduti al potere dal 2003 – prima Nestór, poi dal 2007 la moglie (e dal 2010 vedova) Cristina Fernández (Cfk). I risultati, soprattutto sul piano meramente economico, appaiono buoni e relativamente costanti nel tempo, quasi che il paese abbia trovato la ricetta della stabilità. Il Pil è cresciuto fino alla crisi globale a ritmi cinesi (del resto proprio per l’effetto Cina sulle principali commodities esportate) ed è poi rimasto abbastanza dinamico grazie a politiche fiscali espansive. In dollari, il Pil pro capite è più che raddoppiato, prima di contrarsi nel 2014 a causa del deprezzamento del peso. Importanti sono stati i successi contro la povertà, la cui incidenza è passata da 50% della popolazione nel 2003 a meno di 20% nel 2013.
In più, ancorché qui il giudizio sia controverso, il sistema istituzionale argentino ha dimostrato sorprendente solidità nel rintuzzare i ripetuti tentativi di limitare libertà e indipendenza di media, magistratura, organi di vigilanza e società civile. Certo è una lotta continua per difendere la democrazia liberale, ma non ci sono state le derive venezuelane né si parla d’impeachment come in Brasile.
Ci sono però anche molte ombre, che offuscano l’eredità del kirchnerismo e imporranno scelte drastiche a chi assumerà il potere il 10 dicembre. L’inflazione, male endemico del paese, è da almeno tre anni oltre la soglia del 25%, malgrado tariffe dei servizi pubblici congelate da anni. L’accordo col Club di Parigi del 2014 non ha riaperto l’accesso ai mercati finanziari internazionali. In più, a criticità tradizionali come la vulnerabilità agli shock esterni, il fragile dialogo tra maggioranza e opposizioni, la corruzione, il lento degrado dei servizi pubblici (in particolare della scuola, a lungo vanto di un paese che ha «prodotto» cinque Premi Nobel, di cui tre in discipline scientifiche) se ne sono aggiunte di nuove. La criminalità, che era meno diffusa che nel resto dell’America Latina, è fortemente aumentata, causa droghe, narcotraffico e polizia corrotta. La qualità della pubblica amministrazione si è deteriorata, come dimostrato dall’Istat locale, alle cui cifre sull’inflazione non crede ormai nessuno. L’industria, che si era ristrutturata dopo la crisi d’inizio secolo, ha perso competitività rispetto ai concorrenti asiatici.
I due candidati alla Casa Rosada con maggiori chances si distinguono più per le sfumature caratteriali e il giudizio che danno del governo di Cfk che per le rispettive piattaforme programmatiche. Dall’opposizione, il sindaco della capitale, Mauricio Macri, propone di rimuovere subito i controlli su commercio e cambio con cui Axel Kicillof, il Varoufakis porteño, ha governato l’economia negli ultimi anni. Ma per il resto si astiene dal propugnare Big Bangs neo-liberali. Daniel Scioli, governatore della provincia di Buenos Aires, rivendica invece i risultati del kirchnerismo ma promette anche di aprire gradualmente l’economia per favorire il ritorno del paese sui mercati finanziari e ha annunciato che il suo ministro dell’Economia sarebbe una paladina dell’austerità fiscale.
Scioli parte favorito per una vittoria al primo turno. In ogni caso gli elettori chiedono un cambio di rotta, probabilmente assecondati anche dai partner del G20. Quando il G20 dei ministri delle Finanze fu creato nel 1999, l’Argentina dovette la sua inclusione alla credibilità di Domingo Cavallo, cocchiere del currency board, sistema in teoria irreversibile di parità del cambio col dollaro. Sedici anni dopo, dimenticato Cavallo, l’imprevedibilità del kirchnerismo sullo scacchiere internazionale ha indebolito la posizione del paese tra i grandi della global governance.