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 2015  ottobre 25 Domenica calendario

Cavour giovin signore e Cavour nemico della Rosina

Gli anni che vanno dal 1835 al 1838 non sono sempre facili per Cavour. È il figlio cadetto del ricco e potente marchese Michele di Cavour, che non condivide le idee di quel suo giovanotto che ama il lusso, frequenta le ambasciate francese e inglese a Torino, si professa liberale e non credente scandalizzando il parentado, dalla madre (calvinista convertita al cattolicesimo) alle altre zie ginevrine. Camillo, lasciato l’esercito per non collaborare con la monarchia assoluta che disprezza, studia l’economia politica come la scienza del futuro, mal sopporta la chiusa società subalpina, dove coltiva amori in serie, in genere con signore nobili e coniugate, è giocatore accanito, ama la buona tavola (gli capita, ormai avviato verso la trentina, di preoccuparsi per l’incipiente pancetta) e sogna in grande: in un momento di sconforto, nel 1832 ( a ventidue anni!), già aveva confessato all’amica Giulia di Barolo: “C’è stato un tempo (…) in cui avrei creduto del tutto naturale svegliarmi un bel mattino primo ministro del regno d’Italia”. In quelle pagine di diario descrive soprattutto i suoi viaggi in Europa, in Inghilterra e in Francia e una puntata nelle terre asburgiche. Incontra uomini politici e studiosi, visita industrie e carceri, studia il pauperismo e, in contemporanea, frequenta club d’élite e ristoranti alla moda: scorrere parte di quelle annotazioni ci fa un po’ assistere allo sviluppo di un pensatore e politico di taglia europea, e un po’ alla vita di un giovin signore un po’ viziato, che – lo sapevamo dal Ruffini che non le aveva però riportate – nelle sue pagine raccoglieva anche tanti piccanti pettegolezzi sul “grand monde” torinese. Il piccolo carnet, invece, contiene rapidi appunti dell’uomo che dirige la politica del regno di Sardegna nell’anno decisivo, il 1859. In certe pagine quello che troviamo è il Cavour politico spietato, deciso a impedire che l’amore del suo re, Vittorio Emanuele, per la figlia di un umile militare, Rosa Vercellana, la “bela Rusin”, lo conduca a un passo scandaloso e politicamente devastante: quello di sposarla. Ed ecco che la fa spiare, cerca di coglierne infedeltà vere e presunte verso l’augusto amante, ritratto mentre poco regalmente perquisisce personalmente la casa della sua bella “fino alla cantina” alla ricerca di uno spasimante della signora. Bassa cucina, diremmo oggi. Ma Cavour ha bisogno che rimanga ben ferma l’alleanza con Napoleone III: non per nulla ha forzato senza timore la quindicenne principessa Clotilde, figlia del re, perché accettasse di andare in sposa all’attempato principe Napoleone Gerolamo, sostenitore acceso dell’indipendenza italiana e cugino dell’imperatore francese che, a sua volta, puntava a imparentarsi così con casa Savoia, una delle più antiche fra le regnanti in Europa. E ora si vorrebbe imparentare Napoleone III anche con la figlia di un sottufficiale? Offenderlo proprio quando egli era deciso ad appoggiare il regno di Sardegna in una nuova e decisiva guerra contro l’Austria? Cavour non si arresta neppure davanti al suo sovrano. Ed ecco annotato nel taccuino il risultato:”Lunedì 7 [febbraio 1859]. Scena violenta con il Re. Scritto al principe Napoleone”. Tre giorni dopo il conte scriverà anche al preoccupato Napoleone III che quel matrimonio non si farà. La guerra sarà vittoriosa e il sogno di essere primo ministro del regno d’Italia, per Cavour, diverrà realtà il 17 marzo 1861.