Corriere della Sera, 25 ottobre 2015
Il discorso di Bergoglio: «Non anatemi, ma misericordia. La Chiesa desidera solo che tutti gli uomini siano salvati»
CITTÀ DEL VATICANO «Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma di proclamare la misericordia di Dio, chiamare alla conversione e condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore». Mancano quattro minuti alle sette di sera, Francesco esce dal Sinodo e tra i cardinali e vescovi rimasti fuori – qualcuno è già salito in macchina per filare via rapido – si leva un applauso, come quello che in aula aveva accompagnato un lungo discorso che è già storico.
Bergoglio sorride, saluta, si avvia da solo verso Santa Marta. Sarà lui a decidere, alla fine. Ma sono parole soddisfatte, quelle del Papa. Voleva che l’assemblea gli lasciasse una porta aperta ed è quello che è successo: «L’esperienza del Sinodo ci ha fatto capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono».
Francesco ha preso la parola alla fine, dopo aver assistito a tre settimane di discussione. E tra l’altro non l’ha mandata a dire a chi è rimasto sulle barricate fino alla fine: «Le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa moduli preconfezionati».
Tutto parte da una domanda: «Che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo?». Nel discorso del Papa c’è anche un riferimento alla lettera dei 13 cardinali conservatori che all’inizio temevano un’assemblea orientata e ai quali aveva già risposto in aula, mettendo in guardia da interpretazioni «cospirative». Concludere il Sinodo, spiega Francesco, significa anche «aver cercato di aprire gli orizzonti superando ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e diffondere la libertà dei figli di Dio, e trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o non comprensibile».
Ma significa tante cose, questo Sinodo. Anzitutto, scandisce, «aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita» e a «difenderla da tutti gli attacchi ideologici». Ma anche «aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».
Al centro, c’è l’idea di Chiesa aperta cara a Francesco: «Il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri». Perché la Chiesa «è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori». Nella riflessione del Papa c’è un passo importante sulla «integrazione» della fede: «Abbiamo visto che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può sembrare uno scandalo per quello di un altro». Così «ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato».
Ora si tratta di «tornare a camminare insieme» per «portare in ogni parte la luce del Vangelo», conclude Francesco. La misericordia, la consapevolezza che la salvezza è «inacquistabile» perché «compiuta da Cristo gratuitamente sulla Croce». L’essenziale, «senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri», è la frase di San Paolo che Francesco ha voluto scrivere a caratteri maiuscoli: «La bontà e la misericordia di Dio supera i nostri calcoli umani e non desidera altro che “TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI”».