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 2015  ottobre 25 Domenica calendario

Il Sinodo decide che ai divorziati non sia sempre impedito di prendere la comunione

CITTÀ DEL VATICANO L’aveva detto, il cardinale e teologo viennese Schönborn, moderatore del «circolo» di lingua tedesca: «La parola chiave della relazione è “discernimento”», la valutazione «caso per caso», nella situazione concreta. L’apertura ai divorziati e risposati esclusi da comunione e confessione non era l’unico tema del Sinodo, ma quello più indicativo dell’idea di Chiesa che ne sarebbe uscita. L’anno scorso ottenne la maggioranza assoluta ma non i due terzi necessari all’approvazione, però Francesco volle che il tema fosse riproposto. E quest’anno l’apertura è passata, giusto con un voto più del quorum di 177 (178 sì, 80 no), seguendo la via tracciata all’unanimità dai teologi del «Germanicus», il gruppo che comprendeva il riformista Kasper e Müller, prefetto dell’ex Sant’Uffizio: la dottrina che non cambia ma va applicata al caso concreto come in Tommaso d’Aquino, la valutazione nel «foro interno» della coscienza in dialogo con il prete.
Era quello il punto più delicato della relazione finale, approvata in tutti e 94 punti e quasi sempre ben oltre il quorum, talvolta all’unanimità o con uno o due contrari. Il punto numero 85, nel quale si dice che «è compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento, secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo». Si riconosce che bisogna «discernere» e quindi distinguere situazioni differenti: chi ha rotto il matrimonio, per dire, e chi è stato abbandonato.
«Pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità non è la medesima in tutti i casi». Si parla di «esame di coscienza»: come ci si è comportati con i figli, se si è fatto un tentativo di riconciliazione. Soprattutto si dice: «Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno».
Prima e dopo, nei punti 84 e 86 (altrettanto delicati: 187 sì e 72 no uno, 190 sì e 64 no l’altro) si parla di «integrazione» e «accompagnamento» dei divorziati e risposati che «non devono sentirsi scomunicati» né essere esclusi, della «cura ed educazione cristiana» dei loro figli, e ancora di «discernimento» della loro situazione «davanti a Dio»: «il colloquio col sacerdote, in foro interno», appunto.
Lo stesso spirito di «accompagnamento», e le stesse aperture, si ritrovano nei passaggi su altre «situazioni complesse» come le coppie che convivono o sposate civilmente: si chiede di cogliere gli «elementi positivi», di affrontare la questione in modo «costruttivo», di considerare «circostanze» e «situazioni contingenti».
Meno discussa, quest’anno, la questione dell’omosessualità. Si conferma che «ogni persona va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto», evitando «ogni marchio di ingiusta discriminazione». E insieme si ripete il no ai «progetti di equiparazione al matrimonio», perché «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio su matrimonio e famiglia».