la Repubblica, 24 ottobre 2015
Il pensiero di Dworkin sulla religione e la storia di un lettore che non ha battezzato i propri figli
Egregio Augias, nel 1973 sposai a Londra nel municipio di South Kensington una ragazza inglese. Nacquero tre figli, lei protestante non osservante, io ateo; decidemmo di non battezzarli. Eravamo contrari ai dogmi della Chiesa cattolica. Pensammo che se un giorno avessero voluto aderire ad una qualsiasi religione lo avrebbero fatto da adulti consapevoli. Avemmo la fortuna di iscriverli alla Scuola Europea di Varese dove, oltre all’ora di religione, c’era un’ora settimanale di morale. Lavoravo a Milano ma scelsi di abitare a Varese unicamente per iscriverli in quella scuola. Un mondo cosmopolita e moderno, con insegnanti madrelingua e con programmi voluti da Bruxelles. Nelle nostre giornate ovunque ci trovassimo l’argomento religione non è mai stato oggetto di conversazione. Se c’era una chiesa con quadri o sculture importanti entravamo e spiegavo loro la bellezza delle opere. I ragazzi sono cresciuti equilibrati e rispettosi delle persone e delle cose, si sono laureati in Inghilterra, sono felici e realizzati. Ho anche quattro nipoti; i due maschi hanno sposato un’inglese ed una francese, superfluo dire che non sono stati battezzati.
Luigi Romano – gigiromano55@gmail.com
Alcuni anni fa, l’editrice Il Mulino ha pubblicato un saggio del grande filosofo e giurista Ronald Dworkin (1931-2013) intitolato Religione senza Dio. La tesi di fondo è semplice e affascinante. È possibile, in alcuni casi può essere salutare, concepire un sentimento religioso staccato dalla fede in questo o quel dio, avendo come solo vincolo quello di una rispettosa appartenenza al genere umano. La mia personale opinione è che se al termine religione si sostituisse “spiritualità” o “fede” il concetto sarebbe ancora più chiaro. La parola religione ha varie etimologie; ho sempre preferito quella suggerita da Lucrezio “re-ligare” nel senso dei legami che uniscono gli uomini a certe pratiche. Se si pensa ai dogmi dei monoteismi e alla ferocia alla quale hanno condotto e continuano a condurre, una spiritualità libera da vincoli di dottrina appare preferibile. Spiritualità per indicare il bisogno del bello, il senso del mistero istintivo in ogni essere umano non appena alzi lo sguardo dalle povere necessità quotidiane. Dworkin si batteva per «un’idea di divino come dimensione della ricerca umana, e come senso di infinito che trae nutrimento dalla conoscenza». Vivere bene, sosteneva, significa accettare responsabilità etiche verso se stessi e responsabilità morali nei confronti degli altri. Ciò che chiamiamo “natura” è intrinsecamente sublime cioè qualcosa che ha valore di per sé. «Siamo parte della natura perché abbiamo un essere e una durata fisica… siamo separati dalla natura perché siamo coscienti di noi stessi e dobbiamo prendere decisioni che, nel loro insieme, determinano il genere di vita che abbiamo costruito». Non mi sorprende dunque ciò che scrive il signor Romano: che ragazzi educati alla conoscenza, assistiti da un adeguato senso morale, siano cresciuti equilibrati e rispettosi delle persone e delle cose – senza il bisogno di appartenere a una Chiesa.