la Repubblica, 24 ottobre 2015
Ritratto di Paul Ryan, che potrebbe diventare presidente del Congresso americano
Sul trono del Congresso americano, con in pugno dunque le chiavi di ogni percorso legislativo, siederà, secondo per potere soltanto al presidente, un uomo che più di ogni altro freme di disprezzo per Barack Obama: Paul Ryan, deputato del Wisconsin, apostolo della definitiva demolizione di ogni sembianza di stato sociale.
Nel nome di Dio, Patria e Famiglia, soprattutto della propria famiglia che ha chiesto di poter frequentare ogni weekend nella casa del Wisconsin come condizione non negoziabile per accettare il trono di “speaker” della Camera offerto dal partito, Ryan è, da quando schizzò a soli 28 anni su un seggio parlamentare, la “Grande Speranza Bianca” di una destra repubblicana che sogna il ritorno del reaganismo. Ma un reaganismo con il turbo del “Tea Party”, animato da un revanscismo anti rooseveltiano, anti keynesiano, anti obamiano, anti tutto ciò che non sia il puro darwinismo di una società spietata e “libera” di abbandonare ai lati della strada i ritardatari.
Chi ancora credesse che nelle democrazie occidentali la distinzione fra “destra” e “sinistra”, fra progressisti e conservatori sia ormai irrilevante e superata, dovrebbe leggere i discorsi e i manifesti ideologici di Paul Ryan. Per lui, tutto ciò che viene dalla mano pubblica tesa a sostenere i più deboli, i marginali, gli sconfitti nella “corsa dei topi” al successo economico è anatema, è tradimento dello spirito fondante della Costituzione e causa dei problemi nazionali. Niente sanità sovvenzionata per anziani o per bambini poveri o a condizioni molto ridotte. No ai sussidi di disoccupazione e ai salari minimi. No alla riforma dell’assicurazione sanitaria, la “Obamacare”. E no, categoricamente no, a quei pur miseri dodici giorni di congedo parentale retribuito per madri e padri che già Clinton aveva fatto approvare e poi i repubblicani avevano bloccato, perché costerebbe troppo alle aziende.
È proprio in questa radicale opposizione al congedo parentale che la retorica della sacra famiglia ruzzola miseramente. Paul Ryan, figlio di un avvocato che lo lasciò orfano di padre a 16 anni ucciso da un infarto per il troppo lavoro, è dichiaratamente devotissimo alla famiglia, purché sia la sua. Ha lasciato la moglie e i tre figli a vivere nel lontano Wisconsin, lontani dalla capitale tentatrice e corrotta, fiondandosi ogni giovedì sera dal Campidoglio al vicino aeroporto nazionale di Washington dedicato a Ronald Reagan – per le due ore e mezza di volo necessari a raggiungerli e trascorrere con loro quanto più tempo gli sia possibile. Quando e quanto vuole, perché i parlamentari, così come il loro staff, possono concedersi quanto “family leave”, quandi permessi famigliari, desiderino. Per questo, Ryan ha rifiutato di partecipare alla maratona elettorale di questa tornata, dopo essere stato, molto riluttante, associato come candidato alla vice presidenza con Mitt Romney, sconfitto da Obama nel 2012.
Ma l’estremismo ideologico di Ryan, che è stato associato alla predicazione di Ayn Rand, la scrittrice di origine russa che negli anni ‘50 divenne la profetessa dell’antistatalismo più radicale con il suo libro “La rivolta di Atlante” sarà messo alla prova da una maggioranza repubblicana che soffre del male di tutti i radicalismi puri e duri, che è la costante capacità di autosbranarsi. Ryan, che è un “superwonk”, un supersecchione politico preparatissimo nonostante una carriera universitaria non brillantissima e senza l’ormai indispensabile “Master” in qualche cosa, dovrà sedere su un trono vacillante, che già ha sbalzato quello speaker che aveva invitato il Papa a parlare alle Camere riunite, Jim Boehner. Ora quella maggioranza lo vuole “speaker”, presidente dell’assemblea, dopo convulsioni e ritiri di altri candidati esasperati.
Appunto come “speaker”, che è il secondo gradino di successione costituzionale al presidente dopo il vice in caso di emergenza, Ryan non potrà governare, ma al massimo impedire a Obama di governare per i mesi che gli rimangono e giocare di sponda per i candidati repubblicani alla Casa Bianca, che lui generalmente detesta, a cominciare da Trump e dall’erede dell’odiata dinastia Bush. La sua proposta di “finanziaria” alternativa a quella di Obama, che prevederebbe un abbassamento delle tasse sul reddito dall’aliquota massima del 39% di oggi a un generosissimo 25% è solo propaganda e produrrebbe, ha calcolato facilmente anche l’economista Paul Krugman, «la più colossale redistribuzione di ricchezza mai vista a favore di chi già è ricco». Ma Ryan, un ambizioso che come tutti gli ambiziosi si vanta di non avere ambizioni, dopo quattordici anni alla Camera, lo sa. Guarda oltre, al ciclo elettorale del futuro, quando improvvisamente scopriremo che la devota moglie e i figli finalmente grandicelli sarebbero pronti a sacrificarsi per lui e a trasferirsi dalla casa del Wisconsin alla Casa Bianca. Sempre per Dio, Patria e Famiglia.