Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 24 Sabato calendario

Due parole sui vecchi scandali dell’Anas e soprattutto sul suo ex presidente Pietro Ciucci

Erwin Sutherland, criminologo americano, stilò nel 1930 un modello criminologico secondo il quale è più pericoloso per la società il crimine dei colletti bianchi che quello comune.

La cellula criminale gestita dalla Dama Nera, versione moderna del bovarismo della mazzetta nel cuore di una grande ed essenziale azienda pubblica come l’Anas, è infatti l’autentico termometro della crisi sociale e politica del paese. Il pozzo senza fondo dell’avidità è connaturato a un sistema così consolidato che persino il giovane e fresco presidente e amministratore delegato dell’azienda delle strade Gianni Armani deve ammettere che si sente assediato dai delinquenti in un’azienda allo sbando, dove ha inserito tre sceriffi anticorruzione: due ex alti ufficiali della Finanza e un penalista. Ma già nel 1994 l’Anas, dopo lo scandalo di Tangentopoli, fu presieduta dall’ex ufficiale della Finanza Giuseppe D’Angiolino. E per vent’anni è stato scandalo continuo che mai nessuno ha voluto o è riuscito ad affrontare.

Ne faremo “l’Oxford degli appalti” proclamava con faccia di bronzo l’allora ministro dei Lavori pubblici Giovanni Prandini, che poi si scoprì essere il referente di tangenti che furono calcolate in mille miliardi di lire. Con lui finì nei guai l’ex segretario della Dc Arnaldo Forlani e si diede alla latitanza Lorenzo Cesa, che ancora calca le scene politiche nazionali con il centrodestra socio di governo. Erano i piani alti – si fa per dire - della corruzione, ma la vicenda della Dama Nera Antonella Accroglianò, che ha tutta l’aria di essere un antipasto per quanto svelerà il lavoro dell’Autorità di Raffaele Cantone, è la manifestazione della sottocultura dei gruppi dominanti ormai incistata a tutti i livelli in qualunque organizzazione che disponga di denari pubblici. Con contorno di episodi fra il tragico e il grottesco. L’avida Dama delle strade per parlare di mazzette- furbissima - usa ciliege, topolini, ricette, medicine. Quando si sente il fiato sul collo chiama la madre annunciandole l’acquisto di un medicinale e quella: «Ma tu sei matta, io sto benissimo». Strepitosi - ma indicativi dell’infimo livello di questa delinquenza paraministeriale - i dialoghi sulla ciliegia smozzicata. Due imprenditori (arrestati), che sanno con chi hanno a che fare, tardano a consegnare l’intera stecca e la dividono in tranche. La Bovary delle strade s’adonta: «Glielo ho detto non puoi venire con ‘ste ciliegie smozzicate... così che fai confusione e basta... vieni con una ciliegia definitiva. Mo’ dice che stava preparandosi... che tra una decina di giorni... gli ho detto fai prima perché qua a luglio le ciliegie devono essere finite».

Tutto si è adeguato all’illegalità, al punto che chi non sta alle regole delinquenziali emerse all’Anas viene considerato disonesto, anzi immorale, tanto che la depravata dominatrice considera il ritardo nel pagamento delle mazzette testualmente un «danno morale». Come forse pensano gli ‘ndranghetisti che prelevano il pizzo dalle vittime che tardano a pagare. Si vedrà dall’inchiesta che approda nella procura di Roma, finalmente non più porto delle nebbie, se i collegamenti della Dama Nera e del suo comitato d’affari con la malavita calabrese sono strutturali.

Pietro Ciucci, che ha dovuto lasciare il posto ad Armani dopo gli ultimi scandali, è stato presidente dell’Anas dal 2006 fino a pochi mesi fa e, negli ultimi anni, anche amministratore delegato e direttore generale. Una specie di granduca delle strade e di nume tutelare del ponte sullo Stretto di Messina, nella cui progettazione sono stati combinati pasticci con le aziende progettiste, che porteranno a un conto finale forse di mezzo miliardo. La grandeur era il suo credo. L’albagia dell’uomo, la sconfinata considerazione di sé stesso, era ben nota fin dai tempi in cui era un giovane funzionario dell’Iri. Toscano dal naso fino, Ettore Bernabei non lo poteva sopportare. Ma non bastò a precludergli una carriera napoleonica sotto ogni regime. Ma simul stabunt simul cadent si può dire adesso che i due ultimi gran cancellieri delle gare, degli appalti, che quadruplicavano i costi rispetto al resto del mondo civilizzato sono caduti. Prima Ercole Incalza, dominus del ministero dei Lavori pubblici per trent’anni e che ha sempre allungato la sua ala sull’Anas, poi Ciucci, con le stimmate di causidico superburocrate, cui la Corte dei conti ha cominciato a fare le pulci attribuendo a lui e ad altri dirigenti un danno erariale di 38 milioni di euro non dovuti, pagati ad alcune imprese, tra cui l’Astaldi. Possibile che in tanti anni, con un padrone assoluto, continuassero tutti a rubare allegramente ai piani alti e a quelli bassi del palazzo di via Monzambano? Ormai lo dicono i fatti, non soltanto gli appalti per le grandi opere fatti su misura, le manutenzioni mai fatte o sovrafatturate, ma la tecnica del pizzo della pubblica amministrazione anche per accelerare pratiche, dare permessi. Un mercato criminale dentro la più grande stazione appaltante d’Italia. Delle due l’una: o i manager che si sono susseguiti negli anni erano complici, o erano incapaci.

Si ha la sensazione che nell’opinione pubblica di un paese poco propenso a rispettare le regole, il biasimo dei tempi di Tangentopoli abbia lasciato il posto o alla rassegnazione o, in molti casi, al così fan tutti, in una perdita collettiva della percezione del disvalore. La pubblica amministrazione, in molti suoi rami, è diventata scuola di corruzione e la legalità tende via via ad adeguarsi all’illegalità, tra gruppi predatori associati in comitati d’affari ignorati, tollerati o sponsorizzati dalla politica.

Ma il caso dell’avida Dama Nera e della sua banda resterà negli annali della corruzione nazionale con lo squallore di quella borsa sulla scrivania pronta a immagazzinare contanti in orario d’ufficio, magari dopo aver timbrato il badge.