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 2015  ottobre 24 Sabato calendario

Che cosa significa “geopolitica”

Per la sua autorevole esperienza internazionale di storico e di uomo delle Istituzioni, mi interessa una sua definizione del termine «geopolitica». Nel corso degli anni quest’espressione è stata sottoposta a modelli interpretativi molto diversi fra loro. Dopo essere stata utilizzata da parte del regime nazista per giustificare la politica di annessioni territoriali, la «geopolitica» è stata per lunghi anni bandita dagli studiosi e dalla comunità internazionale, almeno fino al conflitto fra Cambogia e Vietnam, alla fine degli anni 70. Con la fine della Guerra Fredda e la scomposizione dei confini tra i due blocchi contrapposti, il termine è tornato prepotentemente d’attualità. Al giorno d’oggi «geopolitica» sembra un po’ come un mantello sotto cui tutti si vogliono coprire, ma non sempre cogliendone un significato corretto e univoco.
Pier Ferdinando Casini
pierferdinandocasini@senato.it
Caro Casini,
Nella sua formulazione più semplice e banale, la geopolitica è lo studio delle relazioni che esistono fra le condizioni geografiche di un Paese e la sua politica internazionale. Non è quindi una teoria scientifica, ma tutt’al più una chiave di lettura per meglio comprendere le motivazioni di una politica estera. Gli esempi possibili sono numerosi. Quando s’impadronì dell’India, la Gran Bretagna si ritenne costretta a rafforzare la propria presenza nel Mediterraneo. Il controllo di Gibilterra, Malta, Suez e Cipro furono le tappe di una strategia geopolitica. Per la stessa ragione, la concessione dell’indipendenza all’India nel 1947 segnala l’inizio di un processo che ridurrà gradualmente le dimensioni dell’Impero.
Ma non tutti gli studiosi si accontentarono di una tale spiegazione. Un teorico tedesco, il generale Karl Haushofer sostenne che la geopolitica era «la coscienza geografica dello Stato». Con l’uso di un termine etico (coscienza) le motivazioni geografiche divennero un imperativo morale e fornirono agli Stati più ambiziosi l’alibi con cui giustificare le loro mire territoriali: i grandi spazi russi e ucraini per la Germania di Hitler, il «posto al sole» per l’Italia di Mussolini. Grazie a qualche intellettuale tedesco la parola «geopolitica», negli anni Trenta, divenne un sinonimo della politica estera hitleriana: una circostanza che ebbe l’effetto di screditarla agli occhi della opinione pubblica e degli studiosi.
Anche durante la Guerra Fredda le motivazioni geografiche e le questioni territoriali ebbero grande importanza. Ma il conflitto, per meglio rispondere alle strategie di comunicazione degli Stati, fu rappresentato come uno scontro epocale fra due ideologie: comunismo e democrazia liberale. Per la stessa ragione la fine della Guerra Fredda e il collasso dello Stato sovietico furono interpretati da alcuni (soprattutto un politologo americano) come «la fine della storia», da altri come un «ritorno alla geopolitica». La parola, a mio avviso, andrebbe utilizzata con maggiore cautela. Il termine appartiene al positivismo, ovvero a quella fase della cultura europea in cui tutto sembrava spiegabile scientificamente. Ma nelle guerre e più generalmente nella politica internazionale esistono decisioni e comportamenti privi di qualsiasi razionalità che la geopolitica non riesce a spiegare.